La buona cultura e il valore della memoria

il valore della memoria

La buona cultura e il valore della memoria

Tra Incantabess e letteratura carnevalesca in Vivere la Città, IX centenario del Comune di Bologna, Ali, 2017, pp. 103-107

Di Mary Blindflowers©

La buona cultura e il valore della memoria

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Poesie fredde1

Scrivo poesie fredde

Fritta che nie in cabu in cabu e’ sa die2

antichimeriche a doppio sfondo

e piccolo metafondo di gelomende

Pagu melósa3,

qualcosa di orrendorrende, che rende?

molzende mézus immentigare, cabos de fune,

trincendhe,

limbi longa!4

niente a cui la parola si sovrapponga,

cappi lenti mai imitativi,

imperfetti, non diagnosticati

da critici allineati semprevivi

Macchìnes!5

mai certificati da alienodotti dottorati,

Ivvilida!6

versi semplicemente dimenticati

in cui non ci si annida…

Immentigados!

E tando bae a tribagliare!7

Lavorare,

ma la voce di tanto in tanto può sbagliare?

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Cos’è l’identità… concetto oltremodo sfuggente e aleatorio in una società globalizzata e globalizzante disabituata al lento, agli infraspazi atemporali che consentano la rappresentazione del Sé collettivo ed individuale caratteristico. Identità, come dice la parola stessa, “identifica”, memorizza folklore e colori, tradizioni popolari, letterarie-artistico-culturali comuni ad un popolo. L’identità non si confonde con l’esclusivismo, con l’egoismo concentrazionario di chi vorrebbe associarla arbitrariamente all’esclusione razzista dell’altro, del diverso, del differente per linguaggio, cultura, atteggiamento spirituale, espressione creativa, etc. L’identità è un’alchimia che va preservata perché riesce magicamente a identificare accogliendo e distinguendo, salvandoci dall’appiattimento per professare l’uguaglianza nella diversità.

Siamo tutti uguali” è un’espressione cedevole, populista e incompleta, frutto di una vistosa quanto galoppante tendenza all’unificazione dei popoli friabili in una pentola d’oblio. Indossiamo vestiti fatti in serie, ci nutriamo di tecnologia in parte utile in parte alienante, consumiamo cibi industriali di dubbio gusto, siamo uguali, certo, come polli da batteria, numeri da business, compratori compulsivi di felicità in pillole. Cosa ci distingue veramente gli uni dagli altri? L’identità, quella stessa identità che ci permette di apprezzare la diversità nella tolleranza e soprattutto di ricordare.

Un popolo senza memoria vive nel nulla.

La salvaguardia della propria lingua originaria, dunque, lungi dall’essere un’operazione di chiusura intellettuale, si prefigura come atto d’amore, una mnemo-tecnica creativa che non esclude curiosità nei confronti di altre culture, ma soprattutto non assume atteggiamenti di snobismo intellettuale.

A questo proposito riporto le testuali parole di un articolo che ho letto di recente e di cui cito la parte iniziale:

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Provate a chiedere a un avvocato, a un medico, a un ingegnere o  anche a un pubblicitario di dirvi quali siano i poeti italiani di età compresa tra i settanta e i quarant’anni che apprezzano di più. È abbastanza facile che molti tra gli intervistati non saprebbero che  cosa dire, quali nomi fare. Potrete obiettare che si tratta di un test del tutto empirico, a cui sono ammesse numerose eccezioni. D’accordo, è così. Ma è probabile che, ripetendo l’esperimento, si avrebbe alla fine l’impressione che i poeti italiani contemporanei, anche quelli con un percorso più solido, fuori dall’ambito stretto di chi scrive poesia, di chi la legge e la studia per passione o per lavoro, siano poco conosciuti, anche tra persone di buona cultura8.

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Lo scrivente annovera tra le persone colte che potrebbero interessarsi di poesia, avvocati, pubblicitari, medici, ingegneri e affini, escludendo tutte le altre categorie sociali, dando per scontato che la cultura sia una prerogativa borghese. Un errore grossolano.

Cosa significa infatti avere una buona cultura?

Grazia Deledda, la famosa scrittrice sarda Premio Nobel per la letteratura, non era né un medico né un avvocato, lo stesso si può dire di Gavino Ledda che in Padre padrone, un libro destinato a restare nella storia della letteratura italiana, racconta la sua vita da pastore-bambino, non da ingegnere:

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«Saprò fare di lui un ottimo pastore, capace di produrre latte, formaggio e carne. Lui non deve studiare. Ora deve pensare a crescere.  Quando sarà grande la quinta elementare la farà come fanno molti prima di arruolarsi. Lo studio è roba da ricchi: quello è per i leoni, e noi non siamo che agnelli»…

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Io me ne stavo lì, paralizzato, davanti alla lavagna, come se quel discorso mi avesse inchiodato i piedi alla predella…Ripassammo subito davanti alla scuola. Tanti pensieri mi turbinavano nella mente in quel momento. Ma io non ero più un alunno. Ero un pastore. E il somaro, nel suo trotto, lasciava indietro la scuola con i compagni che mi ero impresso nella mente. Io, rivoltato indietro guardavo la scuola dalla groppa del somaro il cui passo me la faceva vedere tremolante, quasi fosse ancora scossa dal terremoto del discorso…9

E che direbbero gli apologeti della cultura classista di un certo signore di nome Marino Piazza, noto soprattutto in provincia di Bologna e di Modena, che amava definirsi poeta contadino?

Che penserebbero degli incanta bess e delle loro zirudelle, in dialetto bolognese zirudèla, versi ottonari con rima baciata?

In G. Ungarelli è scritto che la zirudèla era un:

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Componimento particolare del dialetto bolognese, che un tempo si faceva esclusivamente per rallegrare le cerimonie nuziali presso le famiglie dei campagnoli; e, per quanto ne riferisce la tradizione, veniva recitato o cantato dai narcisi, che si accompagnavano colla ghironda, antico strumento musicale ancora in uso nel secolo decorso. Epperò dai diminutivi ghirondella o girondella è venuto il nome di un componimento che, come la ghironda, rigira sopra sé stesso, ripetendo alla fine di ogni strofa la prima parola10

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Le zirudelle inizialmente venivano tramandate oralmente anche da autori analfabeti ma dotati di grande ingegno. Soltanto nel XVIII secolo tali componimenti iniziarono ad essere fissati sulla carta.

A questo punto mi chiedo che penserebbero i radical chic di quel Giulio Cesare Croce, (San Giovanni in Persiceto, 12 marzo 1550 – Bologna,1º gennaio 1609), che faceva il cantastorie autodidatta e raccontava le sue storie per mercati, corti, fiere e case patrizie, avendo l’ardire di morire in povertà?

Egli non entrò mai nei circuiti culturali dei letterati della sua epoca perché il suo genio e le sue motivazioni nascevano “dal basso” e non si sottomise ad un padrone o mecenate che dettasse le regole del suo carnevale.

Croce produsse più di 600 opere nel suo stile carnevalesco e sagace, alternando in modo geniale la lingua italiana a diversi dialetti, tra i quali il dialetto bolognese e il dialetto bergamasco, esaltando nelle Astutie di Bertoldo, l’ingegno contadino, rovescio della superficiale bellezza dei narcisi:

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Prima, era costui picciolo di persona, il suo capo era grosso e tondo come un pallone, […] l’orecchie asinine, la bocca grande e alquanto storta, con il labro di sotto pendente a guisa di cavallo, […] con tre overo quattro gosci sotto la gola […] Insomma costui era tutto il roverso di Narciso… Mentr’egli visse e fu Bertoldo detto, Fu grato al Re; morì con aspri duoli Per non poter mangiar rape e fagiuoli.

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Identità è dunque soprattutto non dimenticare, coltivare la memoria, capire, evitare i facili trabocchetti della retorica classista omologante delle coscienze e delle menti.

Chi ha memoria difficilmente tende ad escludere, a snobbare, ama la propria cultura e si apre a quella degli altri, senza atteggiamenti di superiorità, perché sa che ogni tradizione nasce, cresce e si sviluppa secondo un percorso culturale differente e prezioso che occorre capire e indagare con umiltà prima di giudicare superficialmente con la lente del pregiudizio di classe.

Vivere la città, catalogo Ali 2017©

Note

1 M. Blindflowers, da Il vostro leone che rugge, raccolta inedita.

2 Fredda come neve all’inizio del giorno.

3 Poco mielosa.

4 Morendo meglio dimenticare, capi di corda, trinciando, lingua lunga!

5 Stupidaggini!

6 Noiosa, ripetitiva!

7 Dimenticati e allora vai a lavorare!

8 L.Vaglio in Gli Stati generali, http://www.glistatigenerali.com/letteratura/poesia-italiana-contemporanea/.

9 G. Deledda, Padre padrone

10 G. Ungarelli, Vocabolario del dialetto bolognese, Bologna, Zamorani e Albertazzi, 1901.

(Pubblicato in Vivere la città, IX centenario del Comune di Bologna, ali 2017, pp. 103-107)

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