Alda Merini, poetessa, propaganda

Alda Merini, poetessa, propaganda?

Alda Merini, poetessa, propaganda

Di Lucio Pistis e Sandro Asebès©

Alda Merini, poetessa, propaganda

La sirena, tecnica mista su carta, by Mary Blindflowers©

 

Abbiamo fame, sai, di tenerezza:

in questo mondo dove tutto abbonda

un sentimento che non ci circonda

funzione al cuore avrebbe di carezza.

Abbiam bisogno di quei lievi gesti

che il nostro cuore tanto fan star bene,

dei donativi in amor sì manifesti

che comprensione dan come conviene.

Forse il tentativo di cercare qualche rispondenza rimata, vuoi in incatenate, vuoi in alternate, avrebbe donato un flebile “aliento” (per sublimarlo in castigliano) di forma creativa a questi pallidi aforismi della “grande” Alda Merini: “Abbiamo fame di tenerezza, in un mondo dove tutto abbonda ma siamo poveri di questo sentimento che è come una carezza per il nostro cuore. Abbiamo bisogno di questi piccoli gesti che ci fanno stare bene. La tenerezza è un amore disinteressato e generoso, che non chiede nient’altro che essere compreso e apprezzato”

Espresse così sciattamente, talmente prosasticamente, le ovvietà che la poetessa comunica si sviliscono al rango di una sorta di amebeo tra frequentatori di mercato rionale, sia detto con tutto il rispetto e l’umiltà verso uomini/donne con mansioni gestionali del quotidiano familiare, perché le considerazioni sulla tenerezza sono un’esigenza comune all’umanità, ma costituiscono un bagaglio talmente usato e riproposto da non poter più assurgere a stimolo innovativo di riflessione emotiva. E allora forse almeno la pudicizia di assegnar loro un’envelop tecnica fornirebbe il crisma dello sforzo di contenerle in una categoria universalmente nota come poiesis, creazione ex nihilo. Vero è che questa non è l’unica opera della Merini in cui grondano flebili psiloseis concettuali irriscattabili anche in involucro saggiamente intessuto con suadente rima alternata, poiché, quando si percorrono pervicacemente i temi dell’amore, che i grandi del passato han già sottoposto a RMN, TAC e altre capillari introspezioni descrittive, risulta arduo per qualsiasi contemporaneo dissodarne idee di pura originalità. Ad esempio:

Ho conosciuto in te le meraviglie

meraviglie d’amore sì scoperte

che parevano a me delle conchiglie

ove odoravo il mare e le deserte

spiagge corrive e lì dentro l’amore

mi son persa come alla bufera

sempre tenendo fermo questo cuore

che (ben sapevo) amava una chimera.

Stile diremmo quasi impeccabile, show di alternate, enjambement, epanalessi e altri strumenti tipici dell’atelier di poetessa, ma in un brodo di coltura oramai più estratto di un dado Star, il vecchio e pluri-esplorato soggetto dell’amore idealizzato e fuggente con alcune forzature concettuali da decrittare (non si comprende l’idea della corrività delle distese sabbiose marine: nell’accezione di irriflessività, eccessiva leggerezza ovvero di tolleranza in senso figurato o in quello obsoleto letterale dell’atalantinità, della rapidità nella corsa? Tutti attributi comunque poco afferenti ai lidi marini) e certe omissioni nella punteggiatura (lì dentro l’amore/ mi son persa: se la specificazione locativa dell’avverbio deve aver efficacia esplicativa, dentro l’amore andrebbe incidentalmente inscritto in chiave asindetica) ovvero complementi di stato in luogo surrogati da improbabili moti a luogo ( ci si perde nella bufera, non alla bufera). Ne viene fuori un’immagine impalpabile di donna che, contraddittoriamente, appare squassata dalla tornadica violenza di un amore transeunte eppure rimane padrona della propria emotività (tale parrebbe l’esegesi del cuore fermo pur nell’uragano). In sintesi, l’autrice qui sembra asservire la logica e la consequenzialità delle immagini che traspaiono dai contenuti ad una levigatezza formale disattesa nella prima lirica per un viraggio su più sciatte vesti simil-prosa. Sia in un caso che nell’altro ci troveremmo, però, nella fiera dell’usato poetico e francamente le vette critiche apicali raggiunte dalla Merini non ci paiono congrue ed oggettive.

Abbiamo assistito in silenzio e con molto divertimento ad una discussione animata sui social relativamente a questa autrice, definita da taluni una “poesia vivente” per via di tutto quello che ha vissuto nella sua triste esistenza. La sua vicenda manicomiale esposta ai quattro venti da gente che conta, è stata sbandierata in tutte le salse possibili e immaginarie per commuovere i lettori italiani. Anche noi, nonostante siamo due vecchi dinosauri, ci siamo commossi, e ci commuovevamo quando la Merini leggeva le sue poesie nel salotto televisivo più famoso d’Italia o faceva su richiesta prefazioni a giovani autori che poi sono stati stigmatizzati col titolo altisonante di poeti, però la vicenda personale non deve distrarre. Un autore non è affatto ciò che scrive, la scrittura, quella vera, la poesia, quella che attraversa il tempo e le stagioni, non è il suo autore. Possiamo umanamente capire le vicissitudini di una donna che ha vissuto gran parte della sua vita rinchiusa in un manicomio, come capiamo i drammi di qualsiasi creatura che viva in difficoltà, e ce ne sono tante di persone infelici, purtroppo, perché il mondo è ingiusto e spietato. Tuttavia il personaggio non è e non deve essere la poesia che supera la contingenza, per comunicare un messaggio universale.

Crediamo che la Merini sia più un personaggio costruito in tv che una poetessa. Leggendola e rileggendola, non troviamo quei caratteri di genio, estro creativo e originalità, che possano farci dire, voilà la poetessa, eccola qua.

Ancor meno delle poesie della Merini, così profondamente cattoliche, cristologiche e bonariamente soggettive senza trascendimento, ci piace la miriade di concorsi letterari spesso a pagamento che sfruttano il suo nome in modo, a nostro parere, indecente.

Cosa resta alla fine?

Gente che si commuove per la sorte di una donna sfortunata e liriche per la maggior parte deludenti e con contenuti riciclati dal buon senso comune, versi per cui la gente porta agli occhi il fazzoletto bianco. Ma tutte queste persone così buone, così sensibili, così per bene, che si commuovono, lo fanno per le poesie o per il personaggio che è stato costruito e pubblicizzato in tv? Quanti di quelli che dichiarano di commuoversi hanno veramente letto le sue poesie? Quanti amano il personaggio e quanti sanno distinguerlo realmente e con lucidità da quello che scriveva?

La pubblicità è una gran cosa ma non è detto che sia poesia.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/

https://www.youtube.com/watch?v=YfLUYSxCmyw

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