Di Mary Blindflowers©
Al gatto la tradizione sarda attribuiva poteri magici. L’animale aveva una natura ambivalente, poteva rappresentare l’incarnazione vivente di un demone maligno oppure di una forza o entità benigna. Ancora oggi si pensa che maltrattare l’elegante felino porti male.
Al gatto, soprattutto se era nero, le credenze popolari dell’Isola attribuivano la capacità di proteggere la casa dagli spiriti maligni.
Mentre per i sardi il gatto nero portava fortuna, per i Siciliani era esattamente il contrario. In Sicilia si dice che non bisogna far entrare un gatto del colore della notte dentro casa perché getterebbe il malocchio sugli abitanti1.
In Sardegna c’erano anche certi curiosi riti collegati al gatto. Per esempio quando una ragazza si comportava in modo leggero contravvenendo alle regole morali non scritte della comunità, tre fratelli o parenti della giovane aspettavano la vigilia di Natale, a mezzanotte, e quando la gente del paese ascoltava la messa, catturavano tre gatti dai colori diversi, poi utilizzando una forbice mai usata prima, tagliavano tre ciuffetti di pelo dalla coda di ciascun animale, poi con uno spago, dopo aver rimesso in libertà le tre bestiole, si provvedeva a legare insieme i peli tagliati e si faceva ritorno a casa.
Il giorno successivo, si bruciavano i peli e la cenere ricavata veniva messa di nascosto nel piatto della ragazza che, in questo modo, sarebbe rinsavita ed avrebbe assunto per magia costumi più morigerati 2.
A Uri si diceva che se una donna allattava il suo piccolo e ospitava in casa una gatta che aveva avuto i gattini, gli avanzi del suo cibo dovevano essere buttati e mai dati in pasto alla gatta, altrimenti le sarebbe andato via il latte3.
Il gatto nero ha una valenza magica in tutte le culture.
Scrive Edgar Allan Poe, gigante della letteratura noir americana: “avevamo … un gatto. Quest’ultimo era un animale grande e molto bello, tutto nero ed intelligente al massimo grado. Parlando della sua intelligenza, mia moglie, non aliena da una certa superstizione, faceva frequenti allusioni all’antica credenza popolare che vedeva i gatti neri come delle streghe travestite”.
Il protagonista del labirintico ed ammaliante racconto di Poe, “Il gatto nero”, in preda ai fumi dell’alcool, prima cava l’occhio poi uccide l’animale, atto sacrilego che trascinerà l’uomo in un baratro di sventura ed abiezione segnando la sua definitiva rovina.4
“Il passo successivo fu di cercare la bestia che era stata la causa di tanta sciagura: poiché infine ero fermamente deciso a metterla a morte. Se mi fosse riuscito di trovarla allora, sul suo destino non avrebbero potuto esservi dubbi; ma, a quel che pareva, lo scaltro animale, allarmato dalla violenza della mia collera recente, si guardava bene dal mostrarmisi nell’umore in cui mi trovavo. È impossibile descrivere, o immaginare, la profonda, beata sensazione di sollievo che l’assenza dell’aborrito animale fece nascere in me. Non comparve durante la notte, e così, per una notte almeno da che m’era entrato in casa, dormii d’un sonno profondo e tranquillo; sì, dormii, pur col peso dell’assassinio sull’anima…
Mi sentii mancare, barcollai verso il muro opposto. Per un istante, gli uomini sulle scale restarono immobili: attoniti, atterriti. Un istante dopo, una dozzina di solide braccia lavoravano al muro. Cadde di schianto. Il cadavere, già putrefatto in gran parte e imbrattato di grumi di sangue, apparve, ritto in piedi, agli occhi degli spettatori. Sulla sua testa, la bocca rossa spalancata e l’unico occhio di fiamma, stava appollaiata la bestia orrenda, le cui arti mi avevano sedotto all’assassinio, e la cui voce accusatrice mi consegnava al boia”.