
Incisione del 1813, credit Antiche Curiosità©
Il colonialismo di Giulio Verne
Mary Blindflowers©
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Jules Verne è considerato uno scrittore per ragazzi, simbolo dell’immaginazione scientifica e dell’avventura educativa. I suoi romanzi, letti e studiati a scuola, vengono presentati come testi innocenti, capaci di coniugare curiosità e progresso, ma è veramente così? Questa percezione è falsata e nasconde un aspetto ideologico profondo: la narrativa di Verne è intrisa di colonialismo, di disprezzo per l’altro e di un atteggiamento strumentale verso la natura e gli animali. Ma quando lo studiamo a scuola, nessuno ce lo dice. Il linguaggio dell’esplorazione, apparentemente neutro e scientifico, riproduce invece la mentalità del dominio europeo, trasformando la geografia in possesso e la curiosità in potere. Un esempio emblematico si trova nelle Avventure del Capitano Hatteras, dove il protagonista inglese e il suo rivale, l’americano Altamont, discutono sul diritto di dare nome alla terra appena raggiunta. Ci sono varie scene del romanzo in cui il linguaggio diventa strumento di appropriazione: nominare equivale a possedere una terra non propria. Si tratta di ciò che John Searle definirebbe un atto illocutorio costitutivo, in cui dire qualcosa significa creare una nuova realtà istituzionale. Il nome, infatti, non è una semplice etichetta ma un gesto di potere che trasforma la parola in atto politico. Tuttavia l’effetto è manipolatorio: la pretesa di oggettività nasconde la violenza dell’appropriazione. La contesa tra l’americano e l’inglese non mette in discussione il principio coloniale, ma solo la priorità nel diritto di possesso. La terra è dichiarata “vuota” pur essendo abitata, perché il linguaggio coloniale nega agli abitanti originari la piena umanità. Subito dopo, infatti, il romanzo descrive gli Eschimesi con un tono di disprezzo che oggi non può che apparire apertamente razzista:
«Tuttavia,» aggiunse Clawbonny, «un pasto d’Eschimesi può a buon diritto sorprenderci. Così, nella Terra Boothia, durante il suo svernamento, Sir John Ross rimaneva sempre stupefatto davanti alla voracità delle sue guide. Racconta che due uomini — due soltanto, intendiamoci — divorarono in una mattinata intera un quarto di bue muschiato! Tagliavano la carne in lunghe strisce che si infilavano in gola; poi ciascuno, tagliando all’altezza del naso ciò che la bocca non poteva contenere, lo passava al compagno; oppure lasciavano pendere dal labbro nastri di carne fino a terra, che inghiottivano a poco a poco, come un boa che digerisce un bue, e, come il boa, distesi per terra!»
«Puah!» fece Bell con disgusto. «Che bestie ripugnanti!»
«Ognuno ha il suo modo di pranzare,» rispose filosoficamente l’americano.
«Per fortuna!» ribatté il dottore.
Il dottore e i marinai commentano i costumi alimentari degli Inuit, riportando con compiacimento dettagli grotteschi e degradanti, spostano i protagonisti indigeni dal campo dell’umano a quello dell’animale. È un processo di disumanizzazione che non serve a informare il lettore, ma a consolidare l’idea di superiorità europea. In termini searleiani si tratta di un atto linguistico che crea una gerarchia ontologica: l’altro, definito con categorie zoologiche, cessa di essere soggetto di parola e diventa oggetto di osservazione. La rappresentazione etnografica, mascherata da curiosità scientifica, diventa così una forma di manipolazione epistemica: il linguaggio costruisce una realtà in cui il dominio appare naturale e il disprezzo legittimo. Edward Said ha descritto questo meccanismo come orientalismo: un discorso che produce l’alterità per rafforzare l’identità del colonizzatore. Verne, come molti autori del suo tempo, traduce in racconto la retorica del potere europeo, e la trasmette alle generazioni successive sotto forma di letteratura per ragazzi. Nelle Avventure del Capitano Hatteras il piacere dell’esplorazione coincide con la cancellazione simbolica dei popoli e degli animali che la rendono possibile; la scienza diventa conquista, la conoscenza si confonde con la violenza. Leggere oggi Verne significa riconoscere, dietro la superficie dell’avventura, la costruzione linguistica di un mondo in cui solo l’Europa parla e tutto il resto è oggetto da nominare, misurare e possedere.
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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

