
Il deserto, immagine fornita da Giustina Settepunti.
Camilleri, rassicurante mito mainstream
Giuseppe Ioppolo©
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Andrea Camilleri (1925–2019) è stato un autore prolifico, noto soprattutto per la serie del commissario Montalbano. La sua opera, tuttavia, si estende oltre il giallo seriale, includendo romanzi storici, saggi, testi teatrali e sceneggiature televisive. Con questo saggio intendo mettere in discussione due tratti inscindibili del personaggio pubblico e letterario Camilleri: il mito del grande scrittore e il mito del “vigatese” come lingua letteraria originale.
Nonostante la vastità della sua produzione e la notorietà conquistata soprattutto attraverso il mezzo televisivo, Camilleri non è un grande scrittore. È, semmai, un abile artigiano della parola, ma di una parola che raramente vibra come atto di denuncia, strumento di battaglia, voce antisistema. L’universo camilleriano, per quanto colto e ironico, è dominato da una preoccupazione costante: piacere, vendere, intrattenere. Il vizio di voler piacere a tutti, alla sinistra, per esempio, ammiccando contemporaneamente alla destra, pesa come un macigno sulla possibilità di costruire un’opera di alto valore letterario.
La serialità dei romanzi, pubblicati con regolarità e accolti da un pubblico fidelizzato, ha trasformato Camilleri in un marchio editoriale più che in un autore di rottura. Il successo televisivo ha amplificato la sua notorietà, consolidando un’immagine rassicurante e popolare, più vicina al consumo culturale di massa che alla provocazione letteraria. Camilleri è stato definito un “caso letterario” evoluto in “fenomeno”, proprio per la sua capacità di piacere trasversalmente, senza disturbare troppo né la destra né la sinistra.
A differenza di Sciascia, Camilleri non ha mai cercato lo scontro con il potere, né ha usato la letteratura come veicolo di denuncia radicale. La sua Sicilia è spesso mitizzata, folkloristica, più teatro di intrighi che di conflitti strutturali. Il commissario Montalbano è un personaggio che rassicura, non destabilizza. Le trame si rincorrono, i personaggi si muovono entro schemi consolidati, e la sua figura pubblica, pur brillante, ha sempre preferito il ruolo dell’intellettuale benvoluto a quello del dissidente scomodo.
Il vigatese: lingua scenica, non letteraria
Il secondo mito da sfatare è quello dell’invenzione linguistica. Camilleri non inventa una nuova lingua: mette in scena registri già presenti nel cinema, nella televisione e nella tradizione orale siciliana. Il termine “vigatese” descrive l’idioma ibrido utilizzato nei romanzi ambientati a Vigàta, città immaginaria ispirata a Porto Empedocle. Secondo Treccani, si tratta di “un paradialetto che miscela la parlata contadina con quella borghese, recuperando espressioni desuete e azzardando neologismi”.
Ma come osserva Succedeoggi, “il vigatese non è una lingua autonoma: è una lingua scenica, non un esperimento letterario”… (Continua su Destrutturalismo n. 11 di prossima pubblicazione).
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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

