
Schema tiratura delle canne vitree, immagine fornita da Giustina Settepunti©
Tiratura delle canne vitree
Giustina Settepunti©
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La lavorazione del vetro fin dall’antichità ha rappresentato uno degli ambiti più complessi e affascinanti dell’artigianato artistico. Tra le tecniche che si affermarono nel bacino del Mediterraneo in età ellenistica e poi romana, un posto di rilievo spetta alla tiratura delle canne vitree, procedimento che ha permesso la realizzazione di manufatti caratterizzati da straordinaria raffinatezza cromatica e decorativa.
Questa tecnica si fonda sul principio della stratificazione e dell’allungamento del vetro. Il procedimento aveva inizio disponendo bacchette o strisce di vetro colorato attorno a un nucleo centrale, spesso costituito da una canna di vetro trasparente o di argilla rivestita di sostanze refrattarie. I segmenti venivano fusi insieme mediante il calore, ottenendo una sorta di “mazzetto” policromo. Successivamente questo insieme veniva riscaldato fino a raggiungere la plasticità e tirato a mano o con appositi strumenti, in modo da formare una lunga canna di sezione regolare, al cui interno il motivo decorativo si ripeteva in miniatura lungo tutto il corpo.
La peculiarità della tiratura delle canne vitree risiedeva dunque nella possibilità di moltiplicare indefinitamente un disegno: un fiore stilizzato, una rosetta, una serie di linee parallele o reticolate. Da una singola canna si potevano ricavare numerosi frammenti identici, che venivano tagliati a rondelle o applicati come inserti decorativi su altri manufatti, oppure costituivano l’ossatura stessa di piccoli recipienti come ampolle di unguenti, cosmetici, balsami o olii essenziali. L’effetto era quello di un tessuto vitreo, in cui il motivo ornamentale risultava inglobato nella materia e quindi resistente all’usura.
Dal punto di vista storico, la tecnica appare già in Egitto e in area siro-palestinese intorno al II millennio a.C., dove la produzione di oggetti in vetro opaco con decorazioni colorate anticipa molti sviluppi successivi. Tuttavia, è con il mondo ellenistico e soprattutto con Roma che essa conosce una diffusione più ampia, favorita dal commercio mediterraneo e dall’alta considerazione riservata a piccoli oggetti di lusso. In età romana imperiale, in particolare tra il I e il II secolo d.C., le canne vitree vennero prodotte in numerose officine, come testimoniano i ritrovamenti a Pompei, Alessandria e Aquileia.
Sul piano tecnico, la tiratura richiedeva un perfetto controllo delle temperature: il vetro doveva essere sufficientemente fluido da consentire l’allungamento, ma non così liquido da compromettere il mantenimento del disegno. Il maestro vetraio interveniva con movimenti regolari e simmetrici, allungando progressivamente la massa vitrea mentre questa conservava la memoria del motivo iniziale. La difficoltà maggiore consisteva nel calibrare la forza della trazione affinché la sezione della canna risultasse omogenea e il decoro ben leggibile anche su scala ridotta.
Le canne vitree non erano soltanto un prodotto tecnico ma anche simbolico: la possibilità di replicare indefinitamente un motivo era percepita come un segno di dominio sulla materia e come espressione di lusso. Inoltre, la combinazione dei colori non era casuale ma seguiva codici estetici precisi, spesso legati al contrasto tra l’opacità del bianco e la profondità del blu cobalto, o all’inserzione di rossi e gialli che simulavano pietre preziose.
In età tardoantica e altomedievale la tecnica subì una progressiva rarefazione, per poi rinascere in forme nuove a Venezia tra il XIII e il XV secolo, quando la lavorazione del vetro a canna divenne una delle caratteristiche peculiari dell’arte muranese. Lì, i maestri seppero rielaborare l’eredità antica introducendo innovazioni come il vetro filigranato e reticello, anch’essi basati sul concetto di tiratura e ripetizione decorativa.
In conclusione, la tiratura delle canne vitree costituisce un esempio paradigmatico della capacità tecnica e artistica delle antiche officine vetrarie. Essa unisce al virtuosismo tecnico la forza simbolica della serialità e la ricchezza cromatica, testimoniando come l’uomo antico sapesse trasformare un materiale fragile e complesso come il vetro in un medium di bellezza e durata. I reperti giunti fino a noi, spesso da contesti funerari o da scavi di abitati, rappresentano non solo oggetti ornamentali, ma anche tracce tangibili di un sapere tecnologico che ha attraversato i secoli, costituendo la base per ulteriori sviluppi nell’arte del vetro fino alla contemporaneità.
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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

