Censura e servilismo social

Censura e servilismo social

Censura e servilismo social

Censura e servilismo social

Censura e servilismo social, credit Mary Blindflowers©

Mary Blindflowers©

Censura e servilismo social

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Il signor X posta una recensione su un classico ripubblicato da Feltrinelli. Scorro il profilo, recensisce tutti libri Feltrinelli, sembra la succursale povera di quell’editore, editore che monopolizza assieme a Messaggerie la distribuzione libraria, dall’altro lato c’è Mondadori. I piccoli intanto si fanno la guerra tra poveri, si insultano, sgomitano e giocano a fare i poeti scrivendo nei profili altisonanti quanto inesistenti titoli di merito, tipo “critico letterario, filosofo, scrittore”, etc. Tutta da ridere, basta crederci! Per aver espresso il dissenso, il signor X, risentito, mi blocca i commenti, dicendo che io sarei “vigliacca” perché ho scritto questo nel suo profilo anziché nella sua pagina che avrebbe molti seguaci. Vado nella pagina di cui ignoravo perfino l’esistenza. Quanti la seguono? Poco più di mille, mentre nel profilo ha poco più di 800 amici. Rido.

La storia della letteratura è disseminata di servi. Non sono soltanto gli scrittori di corte del Rinascimento, che vivevano all’ombra dei principi, celebrando le loro gesta in versi e prose tanto brillanti quanto accomodanti. Non sono solo i letterati barocchi pronti a vendere penna e ingegno al migliore offerente. Ogni epoca ha conosciuto il suo esercito di intellettuali servili, intenti più a garantirsi protezioni, prebende e visibilità che a dire la verità.

Già nel Settecento, quando l’Illuminismo proclamava l’autonomia della ragione, non mancavano autori pronti a piegarsi ai censori reali o ecclesiastici pur di pubblicare. Nell’Ottocento, mentre si formavano le coscienze nazionali, molti giornalisti e critici letterari erano in realtà strumenti del potere politico, pronti a esaltare o demolire libri secondo convenienze di partito. Nel Novecento, col consolidarsi delle grandi case editrici e dei premi letterari, il servilismo ha cambiato volto: meno legato al mecenatismo aristocratico, più vincolato alla macchina industriale e alla logica del mercato. Ma la sostanza resta identica: il letterato servile non scrive per la verità, bensì per il padrone di turno.

Oggi, nell’era dei social e della distribuzione monopolizzata da pochi gruppi editoriali, il fenomeno si ripropone in forme nuove e più squallide. Non servono più gli inni ai re: bastano recensioni ossequiose, sempre targate dallo stesso marchio editoriale. C’è chi, come un qualsiasi “signor X”, si atteggia a voce critica mentre non fa che replicare i comunicati pubblicitari della casa editrice dominante. E guai a chi lo fa notare: la censura non passa più dai tribunali o dall’Inquisizione, ma da un clic che blocca i commenti, clic giustificato da pretesti tanto risibili quanto rivelatori.

Il servilismo, insomma, sopravvive e si aggiorna. Da Orazio poeta di Augusto fino al recensore digitale con mille follower, la logica non cambia: la penna (o la tastiera) piegata al potere, editoriale o politico che sia. Con una differenza sostanziale: oggi chi tenta di smascherare queste dinamiche viene accusato di “vigliaccheria”, mentre il vero vigliacco è chi teme il confronto e si rifugia nella comoda protezione del silenzio imposto.

Ecco allora il punto: non si parla qui solo di un fastidioso episodio personale, ma di un sintomo. La cultura ufficiale continua a premiare il servilismo, a distribuire patenti di legittimità, a organizzare premi che hanno lo stesso valore del bollino di un supermercato. Contro questa macchina, chi sceglie la libertà resta marginale, persino antipatico. “Tu ti fai odiare”, mi ha detto ieri un contatto social, “non puoi avere successo con questa mentalità”.  Anche il successo è un concetto enormemente sopravvalutato. Quanti uomini e donne di successo si suicidano? Se fosse così meraviglioso essere famosi, forse non lo farebbero. E poi chi lo vuole il successo del servo? Io no, grazie, non mi occorre. Se devi diventare uno zerbino meglio restare un illustrissimo ma libero sconosciuto. Del resto la storia ci insegna che, sebbene i cortigiani abbiano sempre riempito le anticamere, spesso sono gli spiriti liberi a lasciare veramente un segno.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

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