Globalismo, arte e economia

Globalismo, arte e economia

Globalismo, arte e economia

Globalismo, arte e economia

La fonte eterna, foto Mary Blindflowers©

 

Fluò

Globalismo, arte e economia

 

Sul termine globalismo c’è gente che ha poche idee ma molto confuse. Il globalismo di per sé è termine neutro, ossia non è né buono, né cattivo. Indica infatti semplicemente un orientamento ideologico, politico ed economico che promuove l’integrazione e l’interconnessione globale tra paesi, culture, economie e popolazioni. Si basa sull’idea che i problemi e le sfide moderne, come il commercio, il cambiamento climatico, la sicurezza e la tecnologia, la diffusione della cultura e dell’arte, debbano essere affrontati a livello globale, attraverso la cooperazione internazionale e l’interdipendenza tra Stati.
Il termine è talvolta usato in senso critico o polemico, soprattutto da chi teme che il globalismo porti alla perdita di sovranità nazionale, all’omologazione culturale o a un’eccessiva influenza delle élite internazionali. In questo contesto, viene spesso contrapposto al sovranismo o al nazionalismo.
Il globalismo, inteso come processo di interconnessione tra popoli, culture ed economie, ha radici storiche molto più antiche rispetto alla formulazione contemporanea. Le grandi scoperte geografiche tra il XV e il XVII secolo, come i viaggi di Cristoforo Colombo, Vasco da Gama o Magellano, segnarono, infatti, l’inizio di un’intensa fase di globalizzazione ante litteram.
Questi eventi portarono alla formazione di rotte commerciali intercontinentali, alla diffusione di merci, persone, idee, religioni e tecnologie, ma anche a fenomeni traumatici come la colonizzazione, lo sfruttamento economico e lo scambio forzato di popolazioni (come la tratta degli schiavi africani) e l’idea balorda e razzista del suprematismo bianco.
Anche prima delle scoperte geografiche, ci sono stati momenti storici di forte interconnessione, basti pensare:
Alla Via della Seta, che collegava l’Asia all’Europa;
All’Impero Romano, che unificava vaste regioni sotto un unico sistema amministrativo e culturale;
Agli scambi nel Mediterraneo tra Fenici, Greci, Egizi e Cartaginesi, etc.

Il globalismo moderno, però, si distingue per la velocità, la portata e l’intensità di questi scambi, resi possibili da tecnologia, finanza, comunicazioni digitali e istituzioni internazionali. Ma le radici storiche di questo fenomeno sono profonde e complesse.
A questo punto una riflessione si impone. La bontà o cattiveria del globalismo non dipende dal globalismo in sé ma dall’uomo. Se scopri un mondo nuovo e dai per scontato di essere superiore alla popolazione locale, come è accaduto ai tempi dei Romani o di Cristoforo Colombo, la colpa non è della comunicazione globale, ossia della scoperta in sé ma di come la gestisci, ossia dell’uomo avido di guadagno, razzista e tendente alla sopraffazione. La stessa cosa accade oggi. Se si pretende un pomodoro a dicembre, forse l’idea che ci sia un processo di sfruttamento dietro, non porta alla colpevolizzazione del globalismo in sé, ma alla stupidità di certe pretese e alla sete di guadagno di chi le soddisfa.
Inoltre occorre distinguere tra globalismo in arte e globalismo economico.
Il globalismo economico è l’orientamento verso un sistema economico mondiale integrato, in cui merci, capitali, servizi e persone circolano liberamente oltre i confini nazionali. Quindi si assiste alla liberalizzazione dei mercati, all’incremento delle multinazionali e catene di produzione globali; alla creazione di organizzazioni internazionali come WTO, FMI, Banca Mondiale; alla delocalizzazione industriale; alla crescente dipendenza reciproca tra economie nazionali.
Nel sistema economico mondiale così creatosi si sono inserite le ecomafie, l’avidità di compagnie internazionali che producono sempre di più inquinando e devastando l’ambiente, soffocando le piccole realtà imprenditoriali, sfruttando i lavoratori, spostando le aziende in paesi del terzo mondo proprio perché la manodopera costa meno etc. Ma è colpa del globalismo in sé se il mondo è quello che è o dell’uomo sempre più avido di potere e denaro?
Il globalismo in arte invece indica l’apertura e la contaminazione culturale tra diverse tradizioni artistiche a livello mondiale, che rompe la centralità dei canoni eurocentrici o occidentali. Prima le opere di artisti non europei venivano considerati “inferiori” o “primitive”, adesso invece, con la globalizzazione, acquisiscono nuova dignità e vengono viste da un differente punto di vista non prettamente europocentrico. Si includono artisti non europei nelle gallerie e si introducono temi universali, quali migrazione, identità, ambiente, trattati in chiave transculturale. Tutto questo in teoria, perché nella pratica è solo l’artista africano o asiatico o americano o europeo ricco che espone nelle gallerie importanti, spesso spettacolarizzando un concetto di libertà espressiva e salvaguardia delle minoranze con contenuti inadeguati al tema presentato.
A questo punto sorge una domanda: è colpa del globalismo in sé se nelle gallerie si selezionano artisti europei ed extraeuropei solo sulla base del censo e non del merito, oppure è colpa dei curatori e direttori di musei che scelgono sempre la strada del profitto e del bluff e si sono trasformati in uomini d’affari? Ed è colpa del globalismo se i governi anziché finanziare sanità e musei, finanziano guerre?
In teoria:
Il globalismo economico mira a integrare i mercati e le economie.
Il globalismo artistico mira a integrare le espressioni culturali e a valorizzare la pluralità delle voci nel sistema dell’arte globale.

In pratica:
Entrambi i fenomeni riflettono una rete sempre più fitta di connessioni tra le diverse parti del mondo, ma pur rispondendo a logiche, finalità e implicazioni molto diverse, arrivano allo stesso risultato, il trionfo del denaro in un’economia venduta allo strapotere delle multinazionali e delle ecomafie e in un’arte immiserita dai mercanti e dalle gallerie che, pur di guadagnare, espongono qualsiasi schifezza provenga da un circolo magico di raccomandati doc.

Non è il globalismo in sé il vero problema, ma l’uomo stesso che, anziché migliorare il mondo grazie alle interconnessioni globali, le ha utilizzate per sfruttare, inquinare, devastare e creare ineguaglianza e mondezza nei vari paesi del mondo, nei fiumi, nei mari, sotto il terreno e perfino dentro le gallerie d’arte.

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