Lettere Persiane, osservatori italiani

Lettere Persiane, osservatori italiani

Lettere Persiane, osservatori italiani

 

Lettere Persiane, osservatori italiani

Il serpente, disegno di mobile di legno by Mary Blindflowers©

Lettere Persiane, osservatori italiani

Mary Blindflowers©

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Nasce e pasce
il blastoderma lipperino
in acido d’uovo viperino,
feconda e sfonda porte aperte,
fa cosmiche scoperte mondiali,
si cosparge la testa di sali e ossa di morti
accetta le offerte, gli slogan, i corti ossalati
di vento e pon pon.
Ma il salotto è allagato,
il sepolcro, tutto quanto imbiancato,
gira interminatamente il carillon.

 

Avete mai letto Lettere Persiane di Montesquieu? Un’opera fondamentale dell’Illuminismo francese. Ricordate la trama?
Ebbene, due nobili persiani, Usbek e Rica, viaggiano in Europa e soggiornano a lungo a Parigi. Scrivono delle lettere in cui mettono nero su bianco le loro impressioni sulla società francese e confrontano i costumi occidentali con quelli orientali.
Montesquieu, attraverso lo sguardo “straniero” dei protagonisti, mette in discussione l’assolutismo, l’ipocrisia religiosa, la corruzione e la vanità dei costumi francesi.
I due osservatori sono lucidi e razionali, quando si tratta di mettere per iscritto le ambiguità di una società a cui non appartengono, ma il loro sguardo si offusca quando invece devono affrontare i problemi del proprio Paese.
Usbek, in particolare, è il personaggio più ambiguo. A Parigi si atteggia a filosofo illuminato, critica il clero, il dispotismo monarchico, la condizione delle donne in Francia. Sembra davvero un saggio, ma allo stesso tempo mantiene un harem in Persia, dove le sue mogli vivono in reclusione assoluta. Appena le regole di quel microcosmo vengono messe in discussione, Usbek reagisce in modo autoritario. Verso la fine del romanzo, quando il suo potere traballa, diventa spietato, ordinando punizioni e violenze.
La letteratura non mente mai e la buona letteratura è senza tempo.
Alcuni osservatori italiani somigliano al summenzionato Usbek, di certo non hanno il potere di ordinare violenze, ma quello di esercitare un’arroganza e una inciviltà che non accetta nessun pensiero trasversale nel proprio Paese, sì, proprio mentre si improvvisano saggi guardando cosa succede in Paesi altrui.
Per esempio, molti sono così lucidi nel vedere in Elon Musk una figura autoritaria o pericolosa per il dibattito democratico, sono così sistematicamente antifascisti, che quasi quasi verrebbe da dar loro un bacetto in fronte, ma sono artatamente miopi e viperini quando si tratta di vedere cosa succede in quell’italietta in cui la distribuzione delle informazioni culturali è monopolizzata dalle holding, le stesse che distribuiscono i loro libri e i giornali dove scrivono, che quasi quasi li si manderebbe da un buon oculista per aspidi. Purtroppo le cure mediche o veterinarie, fate voi, non bastano per le bestie cieche che si rifiutano di vedere, anche perché ci vedono benissimo, sono pienamente consapevoli di ciò che accade, ma fingono di non accorgersene. Così mentre i nostri eroi di cartapesta e antifascismo solo di facciata, che serve a nascondere il Rolex, si avventurano in consigli di lettura e in crociate alla Don Chisciotte sul fascismo internazionale, coltivano il proprio giardinetto elitario a casa loro, dando del malato di mente a chiunque, anche soltanto nei social, osi sottolineare che l’elitarismo culturale vigente in Italia è una forma, siappur sottile, di dittatura.
La dittatura democratica è un sistema formalmente democratico, in cui però il potere economico è talmente concentrato da produrre effetti simili a un regime autoritario. Il piano culturale e informativo non sfugge alle maglie di questo tipo di dittatura ingannevole, che utilizza il monopolio distributivo come arma. Sono veramente in pochi a controllare le piattaforme di diffusione delle idee, dei libri, dei giornali. La libertà formale può essere così svuotata nella pratica, creando un sistema di arroganza elitaria che trova i suoi strenui difensori in chi è immerso fino al collo dentro il sistema monopolistico.
Siamo dunque al paradosso del nostro buon Montesquieu, quello dell’uomo o della donna che si improvvisano saggi ma che sono legati a loro volta a un potere, incapaci di rinunciare al controllo, quando si tratta dei propri interessi personali o valori culturali.
Come può una bestia che per lavorare riceve quotidianamente un buon osso succulento da un padrone, contestarlo? Perché una cosa è parlare di un miliardario dalle esternazioni politiche controverse, un’altra è parlare del trogolo dove si riceve la pappa quotidiana ringraziando e facendo la riverenza.
Il gap è lo stesso di Usbek, e ha come risultato un uomo diviso, diabolico.
Credo che il paragone tra Usbek e certi giornalisti contemporanei sia assolutamente legittimo e stimolante.
Usbek, nel suo ruolo di osservatore ha una fondamentale asimmetria, uno strabismo di fondo, con un occhio lucido verso l’esterno, uno cieco quando si tratta di mettere in discussione il proprio mondo. Un vero e proprio paradosso: un moralista all’estero, ma un tiranno in patria.
Allo stesso modo, oggi alcuni giornalisti o intellettuali italiani denunciano i problemi dei paesi stranieri (autoritarismi, corruzione, censura), ma evitano di criticare il proprio Paese o le dinamiche di potere mediatico da cui dipendono. E, soprattutto, non mettono mai in discussione l’apparato informativo che li sostiene, proprio come Usbek non mette in discussione il suo potere sull’harem.
Questo tipo di figura rientra nel modello dell’”intellettuale a senso unico”, un venduto che applica la critica dove è comodo, ma si ritrae quando è in gioco il proprio status o la propria posizione.
Ovviamente, quando un qualunque signor nessuno fa notare all’intellettuale strabico, alla bestia prezzolata, satura di veleno, debitamente raccomandata e lisciata dal partito, che il gap tra ciò che è e ciò che predica segna una voragine di non-sense, questo signor nessuno diventa matto, invidioso e stupido, insomma, uno che vuole vendere i propri librini senza alcun giustificato motivo, un insignificante tesserino di una società in cui il libero pensiero non conta nulla senza affiliazione. Così, cosa si fa con questo insignificante tesserino-esserino fastidioso come un tafano?
Lo si banna sui social e lo di dichiara morto in vita, inesistente nella vita reale, semplice.
Bannare o dichiarare l’inesistenza di un intellettuale, checché se ne dica, è una sorta di omicidio rituale, un sacrificio necessario, perché nella dittatura culturale le bacheche dei Qualcuno che scrivono libroni, e che saltellano allegramente da un grosso editore all’altro, ripetendo il già detto fino alla nausea, devono essere sgombre da interferenze di qualunque tipo, devono essere piene di devoti sudditi fedeli al doppiogiochismo degli animali da cortile e dei cani che fanno pio pio e bau bau quando il loro dio alza il dito, pigolando e abbaiando ubbidienti, badando anche di non alzare troppa polvere quando scodinzolano se no il padrone si adira.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

Thinking Man Editore

 

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