Il giudizio degli altri

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Il giudizio degli altri

Il giudizio degli altri

Il branco, credit Mary Blindflowers©

 

Il giudizio degli altri

Mary Blindflowers©

Arthur Schopenhauer, in Aforismi per una vita saggia, sostiene che dare troppa importanza al giudizio altrui rende infelici. Il filosofo afferma che è solo a causa di “una particolare debolezza della natura umana” che si attribuisce, in genere, “soverchia importanza a ciò che noi siamo nell’opinione altrui; anche se, per poco che riflettessimo, comprenderemmo che ciò non è, in sé, rilevante ai fini della nostra felicità”.

Spesso i segni dell’approvazione altrui consolano come un balsamo, anche se il soggetto che riceve i complimenti sa che sono palesemente falsi; viceversa, qualsiasi giudizio negativo sembra offendere molti individui, che si sentono sottostimati, declassati, poco rispettati.

Ma siamo davvero sicuri che l’opinione altrui sia così importante ai fini della soddisfazione individuale?

No, non lo è. Schopenhauer non era affatto uno sciocco e sapeva quel che diceva. Parliamoci chiaro: il giudizio altrui, per un artista, uno scrittore o chiunque si metta in testa di fare attività creative, vale meno di zero, sia che sia positivo, sia che sia negativo.

Occorre a questo punto fare una distinzione tra un giudizio e una critica.
Il giudizio non ha motivazione: dire “mi piace”, “non mi piace”, “è bellissimo”, “è terribile, bruttissimo”, “mi ha fatto piangere, mi ha fatto sorridere”, ecc., è esprimere un giudizio puramente soggettivo, disancorato da qualunque ragionamento filosofico o scientifico, perché manca una filosofia probatoria che sostenga una tesi minimamente convincente. Il giudizio si basa spesso sul gusto personale e raramente spiega il perché. È una presa di posizione, più o meno consapevole, e influenzata da bias personali, mode, umori, desiderio di protagonismo, specie nei social. Il giudizio diventa opinionismo di massa e dogma quando è indotto dalla propaganda, perché rinuncia allo spirito critico a favore di sensazioni di stampo emozional-patetico. Per esempio, molti dicono che Eco sia un grande filologo, ma quando gli si chiede perché ritengono che lo sia, sulla base di quali dati, di quali analisi, non sanno rispondere. Questo perché molti di coloro che sostengono questa tesi pappagallesca non lo hanno mai letto, dato che l’opinionismo è proprio degli sciocchi, che danno una valutazione immediata e poco ragionata, una sorta di atto istintivo, sintetico, spesse volte superficiale.

Altra cosa è la critica, che non si basa su un’opinione umorale ma su una dimostrazione che, se non pretende di essere oggettiva, ha un certo grado di attendibilità se costruita con serietà. La critica attiene al campo analitico. Non è solo dire “è bello” o “è brutto”, ma spiegare perché, magari entrando nel merito di stile, contenuto, contesto, intenzione. Ciò non toglie che una critica possa essere corrotta da interessi particolari, oppure formulata talmente male da diventare opinionismo spiccio. Una critica è suscettibile di contro-critica, ossia di confutazione. L’opinionismo non ha bisogno di essere confutato, dato che non sussiste: è un puro vuoto cosmico servito su un piatto di lustrini e nulla.

Fondamentalmente, nessuno vuole sentirsi dire che il suo giudizio poco analitico e soggettivo non conta un fico secco. Insomma, non è bello, non è gentile, non è nemmeno politicamente corretto dire, di fronte a un giudizio negativo o positivo: “chi se ne frega”. Però si tratta semplicemente della verità. Ma nessuno vuole sentirne il suono: è sgradevole, cacofonico.

Nell’economia della felicità di un artista, forse c’è un guadagno reale se un contatto FB, che ha la manina poco prensile nel mettere mano al portafoglio per acquistare un libro, dice che la copertina di quel libro è favolosa? A che serve, dunque, una lode improduttiva? A che servono i “bravissimo” lanciati gratis nei social, se poi non hanno nessun riscontro concreto? E viceversa, a che serve il giudizio di un qualsiasi pinko che passa nei social e lancia un giudizio negativo? A nulla.

E a nulla serve non rispondere, ma nemmeno rispondere, perché oggi come oggi vige la legge dell’eufemismo: devi rispondere con una serie di frasette e circonlocuzioni finte per evitare di offendere il sensibile che sensibilmente ti ha donato gratis la sua opinione positiva o negativa. Se formula parole di lode, devi comunicare di sentirti al settimo cielo; e se invece dice “non mi piace”, devi fingere di dispiacerti e perdere minimo tre ore a fare giri di frasi perlopiù buoniste e fintamente zuccherine, in cui cerchi di convincere il buon giudicante gratuito a cambiare parere, perché devi dimostrare di essere buona e paziente.

Ma perché, poi? Ha senso tutto questo? Non si può essere brutti, sporchi e cattivi?

Sic leve, sic parvum est, animum quod laudis avarum subruit ac reficit.
È così futile, così piccola cosa ciò che abbatte o risolleva un animo avido di lodi.
(Orazio, Ep. II, 1, 179-80)

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Comments (2)

  1. Giuseppe Ioppolo

    Alla fine del discorso si può concludere che ogni giudizio parte da un pre-giudizio e che ogni critica è tale solo se riesce a rimuovere gran parte del pregiudizio entrando nel merito d’un giudizio critico. Una robetta un po’ ostica da digerire e così assai spesso si resta nel limbo del giudizio dettato dal pregiudizio.

  2. Giorgio Infantino

    non è bello ciò che è bello ma che bello, che bello, che bello.

    già li sfotteva Frassica nella parte che aveva a quelli della notte.

    sempre in quella trasmissione, Catalano e Pazzaglia si sfottevano gli accademici che invece ci tengono eccome al giudizio degli altri (accademici, ovvio).

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