De Quincey, ironia, omicidio

De Quincey, ironia, omicidio

De Quincey, ironia, omicidio

De Quincey, ironia, omicidio

Edizione Formiggini del 1926, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

De Quincey, ironia, omicidio

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On Murder considered as one of the fine arts, ovvero L’assassinio come una delle belle arti, di Thomas de Quincey, apparve nel 1827 sulla rivista “Blackwood’s Magazine”. Non era ancora un libro vero e proprio, ma un articolo, ma più che altro una “conferenza immaginaria” che riscosse subito molta attenzione per il suo stile ironico e provocatorio. Nel 1839 de Quincey fece una seconda Conferenza, sempre su Blackwood’s, e infine pubblicò una versione rivista e ampliata nel 1854, che possiamo considerare la forma definitiva dell’opera, quella che di solito si legge oggi come libro.

Nel 1926 il libro venne pubblicato in Italia da Formiggini, in versione integrale nella favolosa e inconfondibile collana in pergamenino Classici del ridere. Il volume è a cura di Corrado Pavolini e contiene belle xilografie di Benito Boccolari.

Una delle trovate più geniali e disturbanti del saggio è proprio l’invenzione, ovviamente ironica, di una “Società degli Amatori di Omicidi” (Society of Connoisseurs in Murder), una specie di club esclusivo, quasi massonico, formato da gentiluomini raffinati che si riuniscono per discutere gli omicidi come opere d’arte. Ovviamente i membri della società non sono assassini, ma esteti e critici del delitto, spettatori d’élite che analizzano: lo stile dell’omicidio, la “composizione” della scena del crimine, l’eleganza o la brutalità del gesto, la “firma” personale del carnefice.

Ma qual è lo scopo del volume? Parlare dell’omicidio come se fosse un dipinto di Rembrandt? Ovviamente no. Il crimine è una vera e propria scusa creativo-letteraria per discutere d’altro, il traffico di cadaveri, per esempio, oppure per alludere a miti come quello del Vecchio della Montagna; per citare ironicamente i poeti e scrittori classici che furono anche cortigiani e asserviti al potere, tipo Virgilio e Cicerone; per criticare la razionalità illuminista e Kant, Hobbes, Spinoza, Descartes, Malebranche, Leibnitz e Locke. Non manca un risolino furbo sulle castronerie dei commentatori della Genesi, dei medici, dei club che fiorivano come funghi, e dei giornali. Insomma, l’autore con leggerezza e spirito sagace, guida il lettore lungo i sentieri di una ironia raffinata in cui, come dice Pavolini “non tutto il comico è serio e non tutto il serio è davvero comico”.

De Quincey che osa intaccare la sacralità del genio kantiano e di altri mostri sacri, va letto con oculatezza, perché tesse la trama di un’opera che sembra derivata dalla filosofia del ragno, che in silenzio tesse una tela meravigliosa in cui però un lettore ingenuo può cascare come una mosca, se non è in grado di decodificare i simboli. Forse per questo De Quincey non è tra i classici più popolari in Italia, Paese che ormai preferisce il buonismo ipocrita e totalmente asservito, alla letteratura.

De Quincey merita di essere recuperato dall’oblio perché in poche pagine riesce a condensare concetti e riferimenti che molti non riescono a fare nemmeno in ampi e corposi tomi.

Spassosa la nota 1 su Kant:

Kant, who carried his demands of unconditional veracity to so extravagant a length as to affirm, that, if a man were to see an innocent person escape from a murderer, it would be his duty, on being questioned by the murderer, to tell the truth, and to point out the retreat of the innocent person, under any certainty of causing murder. Lest this doctrine should be supposed to have escaped him in any heat of dispute, on being taxed with it by a celebrated French writer, he solemnly reaffirmed it, with his reasons… (continua).

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Thinking Man Editore

Libri Mary Blindflowers

 

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