Glen Ligon, non-arte fuffa

Glen Ligon, non-arte fuffa

Glen Ligon, non-arte fuffa

Glen Ligon, non-arte fuffa

Geln Ligon, quadro dipinto al Fitzwilliam, credit Maey Blindflowers©

Mary Blindflowers©

Glen Ligon, non-arte fuffa

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Wilde diceva che l’arte o la si sa fare oppure no, in pratica la definizione di arte immorale è una contraddizione in termini. Non esiste arte immorale, perché l’arte non si pone nemmeno il problema di seguire la morale o la moda correnti, va oltre il proprio tempo; è la non-arte che si pone questo problema, e addirittura lo sostituisce subdolamente all’arte stessa perché la non-arte non ha niente da dire al di fuori della morale corrente a cui si adegua pedissequamente per fare business. Dunque, se l’arte vera non soggiace alle categorie transeunti della moralità, perché non le segue, accusarla di immoralità, non ha senso, invece la non-arte, al contrario, può essere immorale proprio perché soggiace alle categorie della morale corrente e si autolimita fingendo contenuti che non ha. L’immoralità della non-arte oggi è data da una tendenza radical chic che è pericolosissima e mina alla base il concetto di arte stessa, ossia lo sfruttamento di tematiche sociali per esibire il nulla e la pretesa di dare lezioni ai classici senza averne i mezzi e le capacità.

Volete un esempio pratico?

La mostra di Glen Ligon al Fitzwilliam è intitolata “Some Black and White Things”. L’esibizione esplorerebbe, a detta dello stesso non-artista che si è improvvisato pure curatore, temi complessi legati all’identità, alla razza, alla cultura e alla memoria. In sintesi, secondo quanto scritto nei cartelli esplicativi ci sarebbe:

1 Uso innovativo del linguaggio e della tipografia: Ligon utilizza frasi ripetute, testi oscurati e citazioni per esplorare la potenza e le limitazioni del linguaggio, suggerendo che le parole possono essere strumenti di potere, ma anche di oppressione.
2 Riflessione sull’identità e la razza: Ligon utilizza testi e immagini per indagare la costruzione dell’identità razziale e il modo in cui essa è rappresentata e percepita nella società. La mostra pone domande su cosa significhi essere visti e interpretati attraverso il filtro della razza.
3 Rilevanza storica e culturale: La mostra si inserisce in un contesto più ampio di discussione sulle questioni di giustizia sociale e disuguaglianza, invitando gli spettatori a riflettere su come il passato continua a influenzare il presente.
4 Dialogo con il passato: L’esposizione intreccia opere di Ligon con pezzi storici della collezione del Fitzwilliam, creando un confronto tra arte contemporanea e storia. Questo dialogo invita il pubblico a reinterpretare i significati e le implicazioni di oggetti e idee legate al colonialismo e alla schiavitù.

Confutazione Punto 1.

Partiamo col dire che uso innovativo del linguaggio e della tipografia non ce n’è, perché usa il metodo degli stencil, antico come il cucco, le letterine che facevamo alle elementari, per intenderci; presenta senza vergogna due pennellate su un supporto bianco, cosa che può fare anche un bimbo di cinque anni; fa una serie improponibile e ridicola di vasi storti che perdono pure materiale, si vede a occhio, perché non sono stati cotti bene. Di ceramisti incapaci che fanno vasi storti da cui si staccano pure pezzi, è pieno veramente il mondo, ma nessuno direbbe che è innovazione. Se l’arte è mentire per dire il vero direi che qui siamo su un campo altamente immorale della non-arte, ossia mentire con la volontà di dire il falso e ingannare lo spettatore.

Confutazione punti 2 e 3:

Ancora più immorale il puerile tentativo di giustificare la presenza di una non-arte coi temi sociali. Qui si raggiunge il picco dell’amoralità consapevole. Ligon usa temi attuali come le riflessioni sull’identità e la razza e finge di sensibilizzare su questi temi, esponendo una non-arte scarsa da tutti i punti di vista, per primitività del messaggio, per incapacità creativa, per inefficacia di metodi elementari spacciati per innovativi, in sintesi la non-arte che mostra non è in grado di essere all’altezza dei temi che dice di rappresentare, anzi, li ridicolizza. Una tela interamente nera o dei vasi neri o degli stencil su un supporto o delle macchie nere su una superficie, possono rappresentare qualsiasi cosa si voglia, basta scriverlo su un cartello, esporre il tutto in un museo e la gente ci crede, forse. A questo serve la fuffofilosofia o filosofia della fuffa che i curatori utilizzano ampiamente nelle descrizioni di arte contemporanea. Quando si espone il nulla ma si hanno i giusti agganci e i quattrini, una tela nera diventa arte sensibile! L’immoralità di questo punto, direi che è palese, un non artista non ha nulla da dire, non ha talento e sfrutta i temi attuali, temi sociali, per giustificare in qualche modo il fatto che esponga in un museo importante. Non c’è veramente niente di più immorale di una non-arte che finge di essere morale e buona e sensibile.

Confutazione punto 4:

Ma passiamo all’ultimo punto, il 4, dialogo con il passato, che in realtà è solo la superbia del non-artista, che non solo non sa far nulla, ma si illude che questo suo nulla, possa dialogare col passato. In che cosa consiste questo dialogo? Semplice. Non contento di avere una sala intera per esporre, Ligon ha sparpagliato i suoi capolavori in giro per il museo, in vari punti. Per esempio, ha fatto levare tutti i dipinti del Cinquecento da una parete, lasciando solo un dipinto che riproduce i re Magi, e ha posizionato, più in alto rispetto a questo dipinto antico, il suo stencil, che, a suo dire, rappresenterebbe un’evoluzione dell’arte, ossia ricorderebbe che uno dei re Magi era nero. E Ligon dimostrerebbe tutto questo con degli stencil di lettere che nemmeno si leggono su un quadretto che, visto da lontano, pare una presa d’aria. Ma il bravo newyorkese ha preteso di posizionare uno dei suoi stencil pure nella stanza dove sono esposte le incisioni annullate di Degas, mettendo la motivazione, leggetela perché è divertente:

CANCELLATIONS
When an etching edition has been printed, the artist will often scratch an “X” or other marks into the metal plate to indicate no additional prints should be made. In 1992, I completed a set of etchings with a printer in New York but forgot to cancel the plates. Working with the same printer ten years later, I noticed the old plates in zinc white ink instead of black. When I saw Edgar Degas’s posthumously printed etchings in the Fitzwilliam’s collection, I thought they could be in an interesting dialogue with my own prints. Although Degas cancelled his etching plates, I suspect he knew they would be printed after his death because the lines he drew on them didn’t ruin the images but, in fact often worked well compositionally.
– Glenn Ligon

ANNULLAMENTI
Quando un’edizione di acquaforte viene stampata, l’artista spesso graffia una “X” o altri segni sulla lastra di metallo per indicare che non devono essere eseguite altre stampe. Nel 1992, ho completato una serie di acqueforti con una tipografia a New York, ma ho dimenticato di annullare le lastre. Lavorando con la stessa tipografia, dieci anni dopo, ho notato le vecchie lastre in inchiostro bianco di zinco anziché nero. Quando ho visto le acqueforti stampate postume di Edgar Degas nella collezione del Fitzwilliam, ho pensato che potessero essere in un dialogo interessante con le mie stampe. Sebbene Degas abbia annullato le sue lastre di acquaforte, sospetto che sapesse che sarebbero state stampate dopo la sua morte perché le linee che tracciava su di esse non rovinavano le immagini ma, in effetti, spesso funzionavano bene a livello compositivo.
– Glenn Ligon

Degas si sta rivoltando nella tomba, ma né Ligon né il direttore del Fitzwilliam sembrano essersene accorti perché l’immoralità della non-arte e dei non-artisti è la nuova etica dei radical chic e fa tantissima tendenza. E, per inciso, ho notato che non solo i vasi del fintartista, ma pure la tela nera perde pezzi di materiale, ho visto che ce n’era un poco in terra, immagino che ogni mattina debbano pulirlo, lo lascerei fare allo stesso Ligon o meglio al direttore che lo ha esposto, scopettiella e paletta, un’esperienza… (Continua, l’articolo completo verrà pubblicato su Destrutturalismo n. 9 )

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

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Libri Mary Blindflowers

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