
Antico grano di rosario tibetano in osso, credit Antiche Curiosità©
Giuseppe Ioppolo©
Scrivere sulla Intelligenza artificiale
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Scrivere sull’intelligenza artificiale (AI) presupporrebbe avere idee chiare sull’intelligenza tout court, quella naturale o, più propriamente, senza aggettivi. E invece è proprio una definizione di “Intelligenza in sé” quella che ci manca, ovvero una definizione di “Intelligenza” che sia semplice, intuitiva, di facile comprensione e universalmente condivisa. Quelle di cui disponiamo si sono dimostrate, invariabilmente, parziali, imprecise, lacunose.
Nell’affrontare quest’argomento mi riprometto, non tanto di fornire risposte chiare, esaustive e definitive, proposito che esula dagli schemi di un articolo e che non rientra punto nelle mie intenzioni, quanto di sinteticamente riassumere:
1. Lo stato delle conoscenze sull’Intelligenza umana e le sue più disparate definizioni;
2. La comparazione con altre forme di intelligenza;
3. Gli sviluppi, le possibilità, i timori delle nuove forme d’intelligenza artificiale (AI).
Si rende, pertanto, utile definire e circoscrivere il più chiaramente possibile la nozione di intelligenza. Cos’è l’intelligenza? Dov’è riposta? Siamo proprio certi che l’intelligenza risieda nel cervello? E se è così, sono gli animali esseri intelligenti visto che, comunque esso sia, un cervello lo tengono?
La definizione più comunemente accettata che troviamo in letteratura è quella che la descrive come la “Capacità di comprendere il mondo in cui viviamo e di risolvere problemi ambientali, sociali e culturali in ogni momento della nostra esistenza”.
Cominciamo con l’analizzare la prima chiosa di questa definizione: la capacità di comprendere il mondo. L’Homo sapiens, dopo aver innalzato l’antropocentrismo a condizione esistenziale universale, (l’universo esiste in quanto l’uomo lo descrive e descrivendolo lo crea), ha con ciò creato un ulteriore problema di conoscibilità dell’esistente. Il mondo che ci appare non esiste in quanto tale ma in quanto frutto d’un creazione che non è esterna al soggetto Uomo, ma interna ad esso. È l’uomo che crea il Creato, con ciò espellendo un qualunque essere divino esterno rinunciando, pertanto, alla conoscenza ontologica dell’essere. Se è “il fare” dell’uomo che crea l’esistente che importanza ha conoscerlo? L’importante è fare. Ma questa conclusione è l’antitesi della nostra definizione di intelligenza, quando appunto definisce questa come “la capacità di comprendere il mondo”. Nessuna capacità a questo riguardo: solo una rinuncia a “comprenderlo” e quindi arrendersi di fronte alla inconoscibilità dell’essere per “impossibilità a farlo”. Ma, se l’essere è inconoscibile, e questa sembra la conclusione definitiva di tanto “pensiero intelligente”, tanto vale smetterla con le discipline che vorrebbero comprenderlo e spiegarlo. Meglio dedicare questo tempo ad altro: alla scienza, alla tecnica, a tutte quelle discipline che il mondo da noi creato ci consentono di dominare l’esistente, farlo nostro, piegarlo alle nostre necessità in una rinnovata volontà di potenza. Più che a “comprendere il mondo” l’intelligenza ci ha aiutato a renderlo più complesso, meno intelligibile, meno conoscibile.
La seconda chiosa della nostra definizione ci racconta d’una intelligenza che ci aiuta a risolvere i problemi ambientali. Sembrerebbe, a prima vista, una narrazione pertinente. Fin dalla sua prima apparizione l’uomo ha intrecciato una aspra lotta con un ambiente ritenuto gravido di pericoli per l’incolumità sua e della sua specie. Ha scavato le caverne, ha costruito le palafitte, ha costruito villaggi, paesi, città, si è via via dotato di armi sempre più sofisticate e micidiali, sempre con l’intento di creare un ambiente più sicuro ove poter esprimere la sua capacità di “fare, disfare e creare”. Eppure è proprio in questa separatezza tra uomo “che fa e che crea” in opposizione ad un ambiente, quello della terra, gravido di pericoli e che, per questo motivo, deve essere plasmato ai suoi “voleri”, la radice d’ogni violenza ambientale. Se il mondo circostante è infido, gravido di pericoli, sostanzialmente dotato d’una forza bruta che assai spesso travolge e sconvolge l’esistenza degli uomini, la scelta “intelligente” non può non essere che quella del dominio, dell’assoggettamento delle forze della natura ai suoi voleri. Non esiste, non può esistere volontà di “coabitazione” all’interno d’un ambiente che si vuole nemico, bensì volontà di dominio, sopraffazione, potenza. Più che a risolvere i problemi ambientali, l’intelligenza umana sembra avere ingaggiato “da sempre” una titanica lotta ai fini del controllo e dominio totale della forza ostile e bruta della natura… (Continua).
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