
L’inferno, credit Mary Blindflowers©
Dickens, osservatore anti-aristocratico
Mary Blindflowers©
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In A tale of two Cities, il romanzo più intenso di Dickens, l’autore esprime, sia pur indirettamente, un forte punto di vista anti-aristocratico.
Parliamoci chiaro, Dickens non è Manzoni, non fa la morale al lettore, non interviene direttamente nei fatti per istruire, educare, ammonire o rompere le scatole, come fa il nostrano cattolico bigotto Alessandro, bensì l’autore inglese si limita a una lucida analisi dei fatti storici che avvengono prima, durante e dopo la rivoluzione francese e la presa della Bastiglia.
Il punto di vista storico e critico dell’autore di uno dei romanzi forse più democratici e obiettivi dell’Ottocento inglese, si evince dalle sue stesse parole e dalle descrizioni di personaggi e ambienti.
Prima della rivoluzione francese gli aristocratici tiranneggiavano il popolo, considerandosi esseri superiori, addirittura, fa capire Dickens, perfino rappresentanti di un’altra specie. Ciò emerge chiaramente dalla lettera scritta dal Dottor Manette durante la sua prigionia alla Bastiglia.
La presentazione della lettera presenta alcune inverosimiglianze di stampo prettamente romantico:
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These words are formed by the rusty iron point with which I write with difficulty in scrapings of soot and charcoal from the chimney, mixed with blood, in the last month of the tenth year of my captivity. Hope has quite departed from my breast. I know from terrible warnings I have noted in myself that my reason will not long remain unimpaired, but I solemnly declare that I am at this time in the possession of my right mind—that my memory is exact and circumstantial—and that I write the truth as I shall answer for these my last recorded words, whether they be ever read by men or not, at the Eternal Judgment-seat.
Queste parole sono formate dalla punta di ferro arrugginito con cui scrivo con difficoltà su raschiature di fuliggine e carbone dal camino, mescolate a sangue, nell’ultimo mese del decimo anno della mia prigionia. La speranza è completamente scomparsa dal mio petto. So da terribili avvertimenti che ho notato in me stesso, che la mia ragione non rimarrà a lungo intatta, ma dichiaro solennemente che in questo momento sono in possesso della mia mente sana, che la mia memoria è esatta e circostanziata e che scrivo la verità mentre risponderò di queste mie ultime parole registrate, che vengano mai lette dagli uomini o meno, al seggio del Giudizio Eterno.
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È davvero inverosimile che un prigioniero riesca a scrivere una lettera abbastanza lunga e circostanziata, ricca di particolari, solo con il sangue e raschiature di fuliggine, tuttavia c’è da dire che il romanzo dell’Ottocento non aveva la stretta esigenza di verosimiglianza che caratterizza i romanzi del Novecento e contemporanei.
Superata la prima impressione un po’ ridicola, il lettore arriva al cuore della lettera, ossia l’esposizione senza mezzi termini del comportamento degli aristocratici nei confronti dei loro vassalli. Siamo in presenza di due fratelli, nobili, che costringono Manette a salire su una carrozza, lo conducono in una casa nobiliare decadente dove in un letto c’è una giovane ventenne febbricitante e moribonda e nella stalla un giovane contadino ferito da una spada. Entrambi muoiono a causa dei due aristocratici odiosi che non hanno nessun sentimento di pietà nei loro confronti:
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“How has this been done, monsieur?” said I.
“A crazed young common dog! A serf! Forced my brother to draw upon him, and has fallen by my brother’s sword—like a gentleman.”
There was no touch of pity, sorrow, or kindred humanity, in this answer. The speaker seemed to acknowledge that it was inconvenient to have that different order of creature dying there, and that it would have been better if he had died in the usual obscure routine of his vermin kind. He was quite incapable of any compassionate feeling about the boy, or about his fate.
“Come è stato fatto questo, monsieur?”, ho detto.
“Un giovane cane comune impazzito! Un servo! Ha costretto mio fratello a sguainare la spada contro di lui, ed è caduto sotto la sua spada, come un gentiluomo”.
Non c’era traccia di pietà, dolore o umanità affine in questa risposta. L’oratore sembrava riconoscere che era scomodo che quella diversa specie di creatura morisse lì, e che sarebbe stato meglio se fosse morto nella solita oscura routine della sua specie di parassiti. Era del tutto incapace di provare alcun sentimento compassionevole per il ragazzo o per il suo destino.
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Il ragazzo prima di morire racconta al medico quanto è successo ponendo l’accento sull’arroganza e disumanità dei nobili, raccontando nei minimi dettagli le torture, le privazioni e le sofferenze a cui i due fratelli sottoponevano i vassalli.
La simpatia del lettore è solo per le vittime, così come quella dello scrittore che già nelle pagine precedenti ha sottolineato in più riprese le condizioni disumane e di povertà del popolino, con nobili che avevano diritto di vita e di morte su chiunque non appartenesse alla loro cattiva razza.
Cosa è successo dunque dopo la rivoluzione?
Il Terrore.
Il popolo, incontenibile, ha voluto e ottenuto il sangue di quell’aristocrazia che lo ha affamato e oppresso. Tuttavia Dickens che pure ha il cuore anti-aristocratico, non può fare a meno di sottolineare come spesso, quello stesso popolo, è andato contro se stesso, senza ragionare troppo. Non furono giustiziati solo i nobili con la “signora Ghigliottina”, ma i tempi erano tali che bastava una delazione per essere accusati di essere nemici della Repubblica, anche se si apparteneva a classi sociali modeste e si era del tutto innocenti. La sartina condannata a morte e citata nel capitolo XIII del secondo libro, ne è un esempio.
Dickens sceglie di raccontare la storia dal punto di vista del popolo, descrivendo il lato oscuro del potere che si serve delle folle come mezzo e mai come fine, sfruttando le debolezze emotive degli oppressi che si illudono di essere liberi. La storia è una vistosa catena di cause-effetti, se il popolo si è illuso che il Terrore e la vendetta fossero sinonimi di giustizia, la colpa è di chi ha innescato il meccanismo. Se l’azione aristocratica prevede violenza e oppressione, la reazione è stata uguale e contraria.
Se Dickens però, sia pur non direttamente, giustifica in parte la reazione, non accetta in alcun modo l’azione. Se il popolo si abbandona agli eccessi è perché non ne può più, mentre allo strapotere arrogante dell’aristocrazia non concede alcuna giustificazione.
Se Madame Defarge è implacabile, ha delle ragioni di sofferenza pregresse, spiegate dalla trama. La sua è la reazione all’abuso e alla strage gratuita della sua famiglia da parte dei nobili. Ma i nobili fanno ciò che fanno, puramente per amore del potere e dell’ingiustizia, sono semplicemente spregevoli e disumani.
Dickens aveva capito che il concetto stesso di parassitismo aristocratico è assurdo, e c’è gente senza memoria che, ancora nella nostra epoca, non arriva a capirlo, inchinandosi a chi sostiene la barzelletta di avere il sangue blu.
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DESTRUTTURALISMO Punti salienti