Recensioni e adeguamento confuso

Recensioni e adeguamento confuso

Recensioni e adeguamento confuso

Recensioni e adeguamento confuso

Ragnatele, credit Mary Blindflowers©

 

Fluò©

Recensioni e adeguamento confuso

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La confusione è dietro l’angolo e aspetta tutti i lettori, e si nasconde, butta lettere a casaccio nel mondo, e aerodinamici bla bla che fendono l’aria molto velocemente ma poi cadono nell’inerzia contenutistica del web e di una parola scritta che non è in grado di suscitare la minima perplessità. La confusione fa effetto, in molti la ammirano, le lisciano le gote, si inebriano di usare un termine piuttosto che un altro, convinti di fare bene, pensando che fischi sia uguale a fiaschi, che recensione sia uguale a riassunto.
Così si sente sempre più spesso, specialmente nei social, la frase: “Ho recensito un libro!” Il punto esclamativo dà enfasi, importanza, ha il preciso scopo di attirare l’attenzione: “Eh chissà che arcano avrà svelato costui o costei”, pensa il lettore casuale. E questo malcapitato apre il link della tanto pubblicizzata recensione per accorgersi che non è una recensione ma un riassunto della trama di un libro “letto”, per modo di dire. C’è oggi una sottospecie di vanteria basata su un dato meramente quantitativo. Molta, troppa gente, si vanta di leggere straordinarie quantità di libri. È la falsa echiana poetica dell’accumulo capitalista, che fa due più tre uguale 4, un errore di fondo comune.
Leggere è un’attività oggi enormemente sottovalutata.
La qualità della lettura, il soffermarsi a pensare a ciò che si è letto, la stasi sulle pause e sul ritmo, sullo stile, sul significato non esplicito e su quello esplicito, l’analisi dei dialoghi, il cercare di capire se il descrittivismo è funzionale al testo oppure completamente disfunzionale, perché slegato dal contesto come semplice riempitivo di pagine, ebbene tutto questo viene ignorato a favore dei riassuntini della trama. Ma chiunque può capire una trama. Già dalla sinossi si possono intuire molte cose. La si fa apposta per indirizzare il lettore, per fargli capire di che si parla, di che genere è l’opera. Allora che senso ha chiamare dei riassuntini, recensioni?
Non sono recensioni, sono riassunti che può fare chiunque.
Il lettore, quello vero, se vuole fare una recensione di un testo, non può limitarsi a comunicare una trama, deve procedere invece all’analisi dei simboli, alla scomposizione del contenuto nei suoi elementi essenziali, soffermandosi sul senso e sul controsenso, sul messaggio che l’autore vuole trasmettere al di là di ciò che viene direttamente esplicitato.
Che senso ha infatti comunicare al lettore una trama per sommi capi? Non può leggersela da solo? La trama è l’elemento visibile, non misterioso, l’esplicito, fermo restando che ci sono anche romanzi senza una trama precisa.
Altro errore di tanti sedicenti recensori è valutare un romanzo sulla base della propria personalità. “Non è un buon romanzo perché non mi ricordo nemmeno la trama e non ha avuto in me un impatto emotivo”. Queste sono frasi comuni, rinvenibili in tanti blog. Ebbene le persone sono tutte diverse, ciò che lascia un impatto emotivo su di me può non lasciarlo su un altro, quindi la valutazione della qualità di un testo non può avvenire sulla base delle proprie esigenze individuali, bensì su dati che, per quanto possibile, devono essere oggettivi.
Personalmente non amo troppo le descrizioni prolisse o le anafore, né in prosa né in poesia, tuttavia ci sono alcuni autori che proprio nelle descrizioni anaforiche danno il meglio di sé.
La descrizione che Dickens fa di Monseigneur nel libro II di A Tale of two Cities, capitoli VII-VIII, è un pezzo narrativo degno del massimo rispetto, perfettamente funzionale al testo, mentre l’attacco de I Promessi Sposi, che ha tediato generazioni intere di studenti, è decisamente noioso e troppo lungo, disfunzionale rispetto al testo, perché mentre nel caso della descrizione di Monsegneir in Dickens, i particolari conducono alla satira sottile e ben elaborata, comunicando al lettore un disprezzo totale del personaggio ma senza espliciti pareri dell’autore, Manzoni, che annoia pure con il suo moralismo esplicito,  descrive all’eccesso il “ramo del Lago di Como”. Una descrizione più corta del paesaggio avrebbe alleggerito il romanzo, senza nulla togliere al suo significato, dato che i dati paesaggistici sono come una fotografia d’ambiente. Riuscitissima invece la descrizione di Don Abbondio perché carica di satira e di un senso che va oltre il personaggio stesso.
La confusione però non permette di fare distinzioni, né parallelismi, in un’epoca in cui il bavaglio del lettore e la ripetizione a pappagallo di dati forniti dal sistema, sono di gran moda. Quindi il lettore non legge più, e men che mai i sedicenti recensori. Questi si limitano a ripetere i soliti bla bla confusi, veleggiando tra il riassunto e il déjà-vu. L’originalità delle interpretazioni sembra essere bandita a favore dell’adeguamento. Si è passati dall’accademismo elitario al pressappochismo reazionario.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

Thinking Man editore

 

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