
Canne di un organo, credit Mary Blindflowers©
Super-pensiero critico trasversale
Mary Blindflowers©
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Quando ci si avvicina allo studio o alla semplice lettura di Evola, occorre attivare un super-pensiero critico trasversale, che in realtà occorrerebbe esercitare non solo in questo caso specifico, ma sempre.
Cosa significa questo?
Che occorre discernere nella filosofia di un autore cosa resti da salvare e cosa da buttare. Fermo restando che per “buttare” non si intende qui affatto censurare o epurare, anzi al contrario. Il testo va letto sempre integralmente, non si può adattarlo al politicamente corretto, eliminando sic et simpliciter ciò che non garba alla sensibilità contemporanea. Così si riscrive la storia, e non mi sembra il caso. L’omissione non crea bellezza ma presenta soltanto una realtà falsata.
Innanzitutto occorre chiarire fin da subito che, a differenza di altri filosofi occidentali, Evola ha il dono della chiarezza. Non ci possono essere equivoci di sorta leggendolo, né dubbi sulla sua fede nel fascismo, nell’imperialismo, nelle gerarchie, nell’oligarchia, nell’anti-democrazia. Nonostante comprendesse perfettamente limiti e retorica del fascio, ci credeva lo stesso. Basta dare un’occhiata al suo libro Imperialismo pagano, per rendersene conto:
Il fascismo è sorto dal basso, da esigenze confuse e da forze brute scatenate dalla guerra europea. Il fascismo si è alimentato di compromessi, si è alimentato di retorica, si è alimentato di piccole ambizioni di piccole persone. L’organismo statale che esso ha costituito è spesso incerto, maldestro, violento, non libero, non scevro di equivoci. Pur tuttavia, se noi volgiamo lo sguardo intorno, oggi, dopo il disfacimento dei due Stati, che sia pur deformato e materializzato, conservavano un residuo dei valori di gerarchia – La Russia e la Germania – noi oggi in Occidente non troviamo che il fascismo come base e come speranza.
Evola, pur comprendendo i limiti del fascismo, pur capendo che è violento, carico di equivoci, maldestro, lo appoggia perché ha una visione totalmente oligarchica e gerarchica del mondo, fondamentalmente antidemocratica ma nello stesso tempo anche anticristiana.
Evola è convintissimo che il cristianesimo non possa e non debba essere considerato la base della nostra tradizione e della nostra civiltà e in questo non ha torto.
Quando fa le analisi di derivazione pagana dei miti cristiani, è un pensatore lucido, sono le sue conclusioni ad essere del tutto deliranti.
Nessuno studioso oggi può mettere in dubbio che il cristianesimo è un sincretismo che ha attinto i suoi miti e riti dalla cultura pagana e li ha adattati alle sue esigenze spirituali e pratiche:
Il solstizio d’inverno cade nel 24, 25 dicembre, che è la data del Natale cristiano ma che anche prima del cristianesimo fu giorno di festa. Nella romanità precristiana questa data valeva come quella del risorgere del sole, quale dio invitto: Natalis Solis Invicti. Era il giorno del Sole Nuovo – Dies Solis Novi – con quale nell’epoca imperiale prendeva inizio il nuovo anno, il nuovo ciclo. Ma questo Natale solare, che dunque fu celebrato già prima del cristianesimo, o, almeno, indipendentemente dal cristianesimo, nel mondo romano, rimanda a sua volta ad una tradizione assai più remota di origine nordico aria (Evola, Simbolismo del Natale nella tradizione ariana, tratto da “Il Corriere Padano”, XIX, 30 dicembre 1941).
Che il Natale non sia una festa cristiana, ma che esistesse precedentemente, è vero, che il cristianesimo non sia affatto la base della nostra civiltà, è vero, ed è anche vero che il cristianesimo è stata una delle cause della caduta dell’Impero Romano, poi ha in parte anche corrotto l’Occidente, ma non per i motivi che adduce Evola la cui analisi non si limita alla constatazione del fatto in sé e per sé, ma va oltre, adattando il fatto al suo razzismo oligarchico:
Il cristianesimo è la radice stessa del male che ha corrotto l’Occidente. Questa è la verità ed essa non ammette dubbio. L’onda oscura è barbara, nemica di sé e del mondo, che nel sovvertimento frenetico di ogni gerarchia, nell’esaltazione dei deboli, dei diseredati…, nel rancore verso tutto ciò che è forza, sufficienza, sapienza, aristocrazia, nel fanatismo intransigente e proselitario, fu veleno per la grandezza dell’Impero Romano e la causa massima del tramonto dell’Occidente.
L’impero Romano non era poi così grande, si basava sulla schiavitù, la sopraffazione, il sangue di molti per sfamare pochi privilegiati. Stiamo parlando di un Impero antico basato su violenza e imperialismo che Evola loda come massima espressione di potenza. Il limite del cristianesimo non è quello di aver fatto crollare l’Impero Romano, nemmeno quello di aver dato sostegno ai diseredati, ai poveri, bensì quello di aver criticato la gerarchia di Roma per crearne un’altra, ecclesiastica, piramidale, altrettanto crudele e oligarchica, quindi l’analisi di Evola fa acqua da tutte le parti, è sostanzialmente un non-sense delirante nel preciso momento in cui dall’analisi dei fatti parte verso l’opinionismo antidemocratico e classista.
Fino a che Evola si limita a criticare il cristianesimo, cosa che del resto fa anche Nietzsche, Dio infatti non è morto per sfizio, raggiunge risultati teoricamente apprezzabili, è quando si mette in testa di restaurare l’imperialismo pagano per una nuova etica oligarchica di stampo fascista, razzista e nazista che cade nel ridicolo.
Imperialismo pagano rimane, come tanta parte della produzione di Evola, un’opera delirante perché le posizioni oligarchiche e razziste di Evola sono inaccettabili in una società democratica. Ma Evola non voleva la democrazia, questo è chiarissimo.
È sempre l’appartenenza politica a far perdere lucidità scientifica all’indagatore dei fenomeni storici. Ma io, in ogni caso sono contro la censura, perché è necessario conoscere un autore a 360 gradi, nel bene e nel male, non propinare ai lettori verità parziali ed edulcorate.
Quando si legge un testo occorre mettere da parte le proprie preferenze politiche, lo si deve leggere scevri da condizionamenti. La politica, infatti, esige uno schieramento acritico ed incondizionato, confezionato da chi ha tutto l’interesse a non fare i dovuti distinguo ma a catalizzare l’attenzione sull’ideologia e a mitizzare acriticamente il soggetto di cui si parla senza nemmeno leggerlo o studiarlo a fondo. Il super-pensiero critico trasversale esiste, e non è nemmeno difficile da applicare, basta saperlo usare.
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Io sarei per distinguere tra “appartenenza politica” e “politica”.
L’appartenenza è “farsi parte”, assumere come proprio un angolo visuale del mondo non per solo interpretarlo ma soprattutto per cambiarlo conformandolo il più possibile alla propria visuale.
La “politica” in sé è scienza del Potere, di come il Potere nasce, prende forma, si costituisce, pervade di sé la città, si appropria e domina il cittadino trasformandolo in suddito.
Un pensiero che voglia essere effettivamente “critico e trasversale” non può non partire da questa distinzione tra “politica” e “appartenenza politica” avendo piena consapevolezza che entrambe le definizioni contemplano situazioni assai diverse non tutte negative e neanche tutte positive. Prendiamo in esame “l’appartenenza” intesa come il prendere Parte, assumere come proprio un punto di vista nella lettura del mondo. Nella visione critica destrutturalista è certamente una bestemmia intellettuale. Ma nel concreto dipanarsi delle vicende umane è proprio così?
Ecco sé “io intellettuale critico destrutturalista” di fronte alla diversità dei bisogni espressi da parti sociali diverse della società (ovvero quelli intesi a rivendicare una più equa distribuzione delle risorse economiche e quelli intesi alla rivendicazione di una sempre maggiore concentrazione in una già ricchissima élite, delle stesse, sono in pace con la mia coscienza critica destrutturalista se non “prendo parte”…dichiarando “aprioristicamente” una mia “indifferenza” all’esito di questo scontro sociale o non resto implicato in una visione politica che nega lo scontro sociale per poter mantenere potere e privilegi delle classi agiate al potere?
Di contro: siamo proprio certi che una visione della politica vista solo come “scienza e tecnica” del Potere sia effettivamente neutra, al di sopra delle Parti e, pertanto, più in sintonia con un pensiero critico destrutturalista che per sua natura deve tendere a decristallizzare quanto di cristallizzato c’è in qualsiasi posizione che si costruisce e si costituisce “ante” cioè “prima” che avvenga la “salutare immersione” nella realtà che è movimento, caos, contraddizione.
Interrogativi che ripropongono il “dubbio” quale elemento ineludibile di qualsiasi pensiero critico. Non può esistere pensiero critico che non affondi nel dubbio le sue ragioni di esistenza…né tanto meno pensiero critico destrutturalista che nel dispiegarsi del pensiero critico trova la sua primaria ragione d’esistere.