Cavalli, una poetessa morta

Cavalli, una poetessa morta

Cavalli, una poetessa morta

Cavalli, una poetessa morta

Giochi di catene, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Cavalli, una poetessa morta

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Una poetessa morta val più di una viva, almeno per un poco. Un soffio di vendite (forse), in fase rigor mortis o a corpo ancor caldo, poi lo stucchevole ipocritamente corretto, il dispiacere finto, l’esaltazione cieca, indipendentemente dal testo: posta e loda, una ressa apologetica e patetica. La poetessa, o meglio ancora, “la poeta”, come molti si ostinano a dire orribilmente, stroppiando la lingua italiana, diventa fantasticamente arcifantastigliosa, la più brava, la più più pio pio e basta, e tì e tà, e pì e pà, la laudativa innescata, pronti, partenza, via! Lacrime e canti dei social boomer vengono accompagnati con le foto di alcune splendidissime e arciliutate poesie, tipo questa meraviglia:

 

Per riposarmi
Mi pettino i capelli,
chi ha fatto ha fatto
e chi non ha fatto farà.

Dietro la bottiglia
I baffi della gatta,
le referenze
le darò domani.

Ora mi specchio
E mi metto il cappello,
aspetto visite aspetto
il suono del campanello.

Occhi bruni belli e addormentati…

Ma d’amore,
non voglio parlare,
l’amore lo voglio
solamente fare.

(Patrizia Cavalli da Le mie poesie non cambieranno il mondo)

 

A questo punto domando, ma avete letto il testo?
Risposta di un utente fb: “Ma è scrittrice e traduttrice. Ha tradotto per il teatro Shakespeare, Molière. Le sue poesie sono state tradotte in inglese francese e tedesco. Facile accostamento a Saba e a Penna. Elsa Morante scoprì il suo talento poetico”.

Ma che risposta è? La risposta dell’avallo al clientelismo. È brava perché hanno detto che lo sia, perché qualcuno la ha accostata imprudentemente ad altri, perché è stata scoperta dall’amante di Moravia? Perché le hanno fatto tradurre Shakespeare e Molière?
Che risposta è mai questa?
E il testo?
Conta qualcosa nel maledetto Paese delle belle lettere come una scrive?
Nella poesia suindicata non c’è un solo verso. Tutta prosa, oltretutto molto brutta, di una insignificanza disarmante.
Inizia descrivendo il pettinarsi e poi voilà, un giochetto di parole infantilissimo: “chi ha fatto ha fatto/ e chi non ha fatto farà” che, valutando il senso di ciò che ha scritto nei versi successivi, non significa nulla. Poi continua con particolari inutili e funzionali soltanto allo zero espressivo, lei che si specchia, si mette il cappello, lei che vede i baffi della gatta, lei che aspetta visite e il suono del campanello, lei che non vuole limitarsi a parlare d’amore ma farlo direttamente.
In sintesi, ha detto qualcosa?
No.
Lo stile? Ne vogliamo parlare? Le rimette agonizzanti nella prosa: cappello/campanello, parlare/fare. Le parole che sembrano scritte da un bambino, hanno del mondo infantile anche la pretesa di andare impunemente a capo senza motivo, giusto per dare un’apparente quanto futile indicazione di poesia.
Non c’è niente che stupisca, che non annoi, che non sia ordinario, accessorio, poco profondo. Non c’è simbolo, non c’è metafora, non c’è sintesi densa, niente ricerca linguistica. A questo punto meglio leggersi la settimana enigmistica.
Ma vogliamo poi parlare della banalità della chiosa? Stendiamo veli. A conclusione di un parto mostruosamente populista, capiamo come il saper scrivere e significare contino assai meno del non scrivere nulla,  a patto che ti scopra e ti presenti qualcuno.
Il nome rimane, dunque, ma c’è poi il testo, per chi sa e vuole leggerlo scavalcando il nome. Il testo scritto, nero su bianco, impietoso, loquace come una ferita per tutti gli uomini e le donne di buona volontà, quel testo è la scandalosa evidenza di un’editoria che sta affondando totalmente la poesia fagocitata dal nulla esibito come qualcosa da gente che nemmeno legge. Non posso che assistere impotente a questo scempio e dirvi: mangiatevelo voi il corpo del Cristo o della Crista del momento. Non parteciperò al banchetto.

 

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

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