Volgarizzamento dell’Arte poetica

Volgarizzamento dell’Arte poetica

Volgarizzamento dell’Arte poetica

Volgarizzamento dell’Arte poetica

Volgarizzamento dell’Arte poetica, 1726, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Volgarizzamento dell’Arte poetica

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Volgarizzamento dell’Arte poetica o sia della Pistola di Quinto Orazio Flacco ai Pisoni padre e figliuoli, con spiegazione, ed aggiunta di diceria. Opera del Conte Giampaolo della Torre di Rezzonico Patrizio della Città di Como, e Mastro di Campo delle Milizie foresi nella Provincia Comasca. Dedicata al distintissimo sublime merito di Sua Eminenza il Signor Cardinale Benedetto Odescalco Arcivescovo di Milano, in Milano, MDCCXXVI, nella Stamperia di Giuseppe Marelli.
La settecentina suindicata, dopo la solita stucchevole dedicatoria al potente di turno, che potete tranquillamente saltare, rende in prosa L’Arte poetica di Orazio, scrivendo nelle pagine pari il testo originale latino e nelle pagine dispari la sua volgarizzazione.
Alla fine del libro troverete un Corollario in cui della Torre si rivolge direttamente al lettore esortandolo a studiare perché quando si pensa di essere perfetti non lo si è. Dice anche che spera di aver raggiunto gli scopi enucleati in prefazione e si scusa per eventuali manchevolezze con il lettore dotto.
Lo stile utilizzato per la versione in prosa di Orazio, è abbastanza semplice, per cui il libro non presenta difficoltà di lettura.
Di questo testo parla anche a pagina 421, Articolo XVI, il Giornale de’ Letterati d’Italia, tomo trentesimottavo, parte prima, stampato presso Gabriello Hertz, in Venezia, MDCCXXVII.

Leggendo il testo mi sono rammentata che Orazio faceva parte del circolo di Mecenate e godeva, come del resto anche Virgilio, della protezione di Augusto. Scrisse e non a caso le Odi Romane per la propaganda augustea. Stiamo parlando di un letterato asservito che ebbe sorte molto più favorevole di Ovidio, esiliato perché le sue opere “immorali” non rispondevano esattamente alla propaganda politica e sociale che l’imperatore stava conducendo.
Dalla sua posizione di letterato privilegiato, protetto come specie rara, Orazio ne l’Ars poetica, ha tutto l’agio di comunicare la sua idea di poesia. E il della Torre gentilmente ce la volgarizza.
Sempre in simbiosi con l’opera di moralizzazione augustea, Orazio critica Plauto a cui rimprovera il linguaggio basso e insipido, pur riconoscendogli in alcuni versi delicata finezza:

Egli è certo che Plauto non ha usata troppa esattezza nei suoi versi, però egli medesimo, nell’epitaffio, che fece a se stesso, li ha appellati numeri senza numero, ed è altresì certissimo che nelle sue burle appare talora basso e insipido, e talvolta si vede oltrepassare il modo della facezia, ma non si può negare che di quando in quando non si scorga negli scherzevoli modi di lui un’ammirabile dilicata finezza: laonde Cicerone lo ha additato per modello a chi di scherzar si propone: quindi Orazio non ha preteso distruggere né oppugnare il giudizio di Cicerone, ha avuto solamente in idea di ristrignerlo, e di condannare la cecità di coloro, che credono Plauto un autore incomparabile… (Volgarizzamento dell’Arte poetica, p. 71).

Anche quando ha accenti critici verso i poeti mediocri, il della Torre ci ricorda che Orazio cita Augusto e ci dà uno spaccato di vita che esiste ancora oggi:

Colui che non sa ben maneggiare un Cavallo, che non sa giocar di picca, né tirare di spada, che non sa lottare, non si espone a riottare nel campo di Marte; così quegli, che non sa giuocare al pallone, al disco e al trucco, in simili funzioni si contenta di fare la figura di spettatore, per non comparire ridicolo agli occhi di numerosi circoli di persone, che avrebbero ragione di burlarsi di lui. Ma egli è purtroppo così, colui, che non sa cosa sia poesia vuol pertanto poetare, ed ardisce di esporre i suoi componimenti alle stampe. E perché no? Non è forse Gentiluomo? E non è forse convenevole entrata per vivere da Cavaliero, e non conduce forse una vita lontana da ogni rimprovero? Come sarebbe a dire! quasiché la condizione fosse bastevole per imprendere qualsivoglia operazione, e che il danajo, ed i costumi fossero sufficienti per arrivare a saper tutto contentandosi di imparar nulla; ma lasciamo che cotesti Autori scimuniti, ed approvati in provincia dalle Accademie degli ignoranti, seguitino a comporre, ed a stampare sonetti ad ogni tocco di campana… affinché non manchi la proprietà del vestire ai pesci e alle olive…
Però voi, io lo so, nulla direte, e nulla farete mai, malgrado alla facilità naturale. Voi avete giudizio per iscerre opportunamente… sottoponetelo alla disamina di un Critico saccente come Spurio Mezio Tarpa, che fu uno degli Accademici Giudici destinati da Augusto alla critica de’ poemi, che si leggevano nel tempio di Apollo: ascoltate ancora sopra le vostre opere l’opinione di vostro Padre, e la mia… (Volgarizzamento dell’Arte poetica, pp. 11-113).

In pratica il caro Orazio da una parte critica i poeti scimuniti e la smania di poetare a tutti i costi, dall’altra però si autoproclama critico e invoca l’autorità di un altro saccente legato ad Augusto, il che è tutto un dire sulla libertà con cui veniva giudicato il valore dei componimenti che dovevano essere ovviamente conformi all’idea politica dell’Imperatore.
L’eredità di questo tipo di cultura in virtù della quale Ovidio venne esiliato, mentre Orazio e Virgilio, fedelissimi del Princeps, furono coperti di onori e prebende, non è mai morta, purtroppo. Le origini sono quelle che sono, e la meritocrazia scevra da condizionamenti politici, resta ancora il sogno degli illusi, quelli destinati al dimenticatoio perché poco adeguati al sistema di potere corrente.

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