Gramellini, psicologia di Medea

Gramellini, psicologia di Medea

Gramellini, psicologia di Medea

Gramellini, psicologia di Medea

Medea, mixed media on canvas by Mary Blindflowers©

 

 

Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Gramellini, psicologia di Medea

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Medea di Euripide è una storia di magia nera e tradimenti in cui il meraviglioso si unisce all’orrido, alla vendetta e alla morte. Medea, tradita da Giasone con Glauce, figlia di Creonte, non solo uccide la rivale e il di lei padre, ma anche i suoi stessi figli, per privare Giasone della discendenza. Il personaggio è preda di laceranti tormenti interiori e viene rispolverato dal giornalismo moderno ogniqualvolta l’efferatezza di episodi di cronaca che vedono madri uccidere la propria prole, ne richiama il mito.
Tuttavia c’è modo e modo di richiamare e fare analogie tra mito e realtà.
Mai come in questo periodo c’è stato uno scadimento dei contenuti verso associazioni del tutto improbabili. C’è chi sostiene che Martina Patti, l’accoltellatrice della figlioletta di soli cinque anni, abbia agito “nel metaverso”, in una dimensione parallela del sé. Lo scrive Antonella Boralevi, partendo dal fatto che l’assassina ha pronunciato le parole: non ero in me, da questo la Boralevi fa le sue deduzioni:

 

Quello che credo sia da osservare, analizzare, cercare di approfondire in questa tragedia insopportabile (e nelle 500 che l’hanno preceduta in venti anni soltanto) è la frase “Non ero in me”. Appartiene a molti assassini rei confessi…
È il metaverso… la ovvia conclusione di un percorso di desemantificazione del reale che abbiamo cominciato con modi all’apparenza e a quel tempo del tutto innocui. Il videogioco. L’avatar. La realtà aumentata.
Piano piano, passo tecnologico dopo passo tecnologico, il reale si è DISFATTO tra le nostre mani. Abbiamo cominciato a vivere in un mondo finto che però percepiamo come IDENTICO a quello VERO, che ci è subito piaciuto perché ci permette di essere COME VOGLIAMO ESSERE e CHI VOGLIAMO ESSERE. Un mondo senza limiti fisici. Un mondo dove chi viene ucciso può rialzarsi come Willy il Coyote dopo ogni caduta nel burrone, sano, integro” (Huffpost, articolo on line, 15 giugno 2022).

 

Se la gente uccide ora sappiamo con chi prendercela, con il “metaverso”. Si fanno analisi on line delle condizioni psicologiche dell’assassina senza alcun dato reale disponibile, davvero notevole come approccio, e poi si sconfina nel distopico.

 

Lea Melandri invece in un articolo del 15 giugno, dal titolo “Madri snaturate?” Di che cosa stiamo parlando? pubblicato da Alessandria Today, si interroga:

 

Sulla madre della piccola Elena Del Pozzo -come sempre in questo casi- i media tornano con insistenza. Come mai non succede lo stesso quando è un padre a uccidere la moglie e il figlio, la figlia? Perché su questa doppia violenza si sorvola, presupponendo che in questo caso la “natura” spinga l’uomo a liberarsi delle persone che gli sono legate biologicamente e sentimentalmente?

 

La domanda è del tutto inconsistente, in quanto non è vero che i media non parlino con insistenza degli assassini uomini. I media sono interessati a fare rumore, a suscitare scandalo e orrore, mettendo l’accento su particolari macabri atti a creare indignazione facendo leva sul sentimento, indipendentemente dal sesso di chi è coinvolto nei casi di cronaca.

 

Ma il meglio di sé lo dà il sempiterno Gramellini sul Corriere della Sera, nella rubrica Il caffè di Gramellini, in un articolo del 16 Giugno 2022 dal pomposo titolo “Non è Medea”, scrive:

 

Per la nostra cultura una madre deve sempre dimostrarsi felice di esserlo, altrimenti diventa una «cattiva madre» e, se fa del male al figlio, «una snaturata», anziché semplicemente (e terribilmente) quello che è: un’assassina.
La seconda etichetta riguarda Medea e il complesso omonimo, che starebbe a indicare le madri che uccidono i figli per fare dispetto ai padri. A Martina Patti non andava giù che l’ex compagno si fosse, come si dice, rifatto una vita. Non c’è dubbio che il suo malessere abbia innescato una tragedia, però non si tratta di una tragedia greca. Anche la Medea di Euripide arriva a uccidere i figli avuti dal fedifrago Giasone, ma al culmine di un tormento interiore estenuante che porta lo spettatore, se non a identificarsi con lei, a comprendere la sua rabbia e il suo desiderio di vendetta. Nella madre di Catania non c’è nulla di tutto questo.

 

Gramellini è un genio, riesce a capire senza neppure averne mai indagato la psicologia, che la Patti non ha mai avuto tormenti interiori. Beato lui che ha la sfera di cristallo per poter affermare certezze simili.
Avvertendo un certo senso di ridicolo, continuiamo a leggerlo, indecisi se ridere, date le castronerie che spara, o piangere, visto che comunque ci troviamo di fronte a due omicidi, uno perpetrato da Gramellini nei confronti del buon giornalismo da lui soffocato nelle stupidaggini gratuite, e l’altro, quello vero, di una bambina innocente, che ha pagato con la vita il caso di esser nata nel posto sbagliato e dalla madre sbagliata.
Lo spettatore medio poi, assistendo alla tragedia di Euripide, se non si identifica con lei, la comprende? Che ne sa lo spettatore medio del dramma interiore di Medea, e come fa, se non lo conosce, a fare raffronti o ad escluderne nella vicenda della mamma accoltellatrice? Medea ha uno spirito giustamente revanscista nei confronti del partner che la sta abbandonando: “Ma come? Io ti avevo aiutato nell’impresa disperata del vello d’oro, prendendolo hai acquisito il potere di fuggire da ogni avversità, e adesso tu mi lasci nelle avversità, straniera ed emigrante nella tua terra, invisa a tutti poiché mi porto addosso la fama di maga e fattucchiera?”. É rintracciabile nella mamma di Elena lo stesso sentimento di vendetta per un mancato riconoscimento di meriti (lo ignoriamo) da parte del marito? Non è dato saperlo! Dove fonda le sue certezze Gramellini? Quanti spettatori odierni hanno letto la Medea di Euripide? Quanti ne hanno visto la ricostruzione cinematografica di Pasolini? Rimaniamo esterrefatti.
Dopo questo, crediamo che Gramellini forse di caffè ne ha davvero bevuto poco.

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