Se, sabbie mobili, conosci..

Se, sabbie mobili, conosci..

Se, sabbie mobili, conosci..

 

Se, sabbie mobili, conosci..

Il deserto, credit Mary Blindflowers©

 

 

Paolo Durando©

Se, sabbie mobili, conosci…

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Se

Se accediamo a diamanti di farsi
lungo i camminamenti
dove il vigore si assomma all’ascensione,
dov’è un fatto il progredire,
un’oggettiva opportunità l’essere per il futuro,
allora forse stiamo sognando
su un tappeto di stelle, nell’astronave Terra
che gira e che corre
con noi dentro in una danza.
Le case nostre incrostate di vissuto,
i letti postazioni di viaggio
mentre corriamo nel cosmo.
Se osserviamo menti profuse in nidi
di risoluta pace nell’altro, per tempi altri,
palingenesi, affreschi di risoluzioni,
allora stiamo indugiando in una nicchia,
intimità dell’astronave Terra.
Refrattari al vero che non nutre,
nostalgici di ciò che fummo fuori dal tempo,
nell’anticamera traslucida
dove spiavamo ignari
i respiri e le apnee
di un’avventura lontana.

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Sabbie mobili

Nella trappola del tempo fermo,
di crisi senza lisi, di false trasgressioni,
di bigottismo di ritorno,
ci si dibatte per scorgere una faglia,
un passaggio essenziale.
Per ritrovare le Alpi spianate,
mari asciutti e nevi in bollore.
Pensiero divergente
di follia risanatrice
per correre su prati di folle,
altopiani di rivoluzioni.
Perché se la storia si disseta
alla fonte del multiverso,
un ritorno di senso è possibile
presso questi immemori,
questi corrivi rimestatori
che nell’eterno presente
rischiano di restare
consenzienti conniventi,
accucciati rannicchiati,
nel grande riposo della Rete
e della resa.

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Conosci te stesso

Immergersi nel bolo della vita,
pasta integrale del nostro sentirci.
Sprofondare in noi stessi,
esplorando cave di dissenso,
strati di rifugi e risorse
e tepori ad occhi vigili,
per capire infine che tout se tient.
Che non c’è bontà senza quote di omissioni,
non c’è lussuria senza stasi
di benevolente purezza,
non c’è risata che non possa,
talora non debba volgere in pianto,
nell’inutile pervicacia con cui
vorremmo meritare noi stessi
come un dono asettico,
l’anima bianca di bucato
a memoria di una genesi senza serpente.
Con cieli sgombri prima del tempo,
prima della poliedrica efficacia
di scenografie montate e colluse
nel deserto dell’esperienza.

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Ordine

Cedeva un soffitto d’infissi,
esondava un argine di fiordo.
Si alzava la luna nell’argento
e tutto era moto, meccanismo.
Ruotava il nostro mondo nel suo sempre,
il vento dell’universo avvolgeva stelle e bolidi.
Sorgeva il sole sopra la fossa delle Marianne,
scorrevano fiumi nel Madagascar.
C’era chi cantava nel Congo,
battevano le mani in Perù.
Era in corso un trasloco a Cracovia,
si rovistava negli armadi.
A Dubai sbocciava l’amore tra due lombardi
e a Skopje un bimbo innalzava un aquilone.
Perché tutto si muove
nell’oliato meccanismo,
casuale, al contempo predeterminato
di questa sfera intatta,
di questa eruzione ancestrale
di manifestante pensiero.

 

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Rivista Destrutturalismo

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

 

 

 

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