La iena in poltrona

La iena in poltrona

La iena in poltrona

La iena in poltrona

Epidemia, mixed media on canvas by Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

La iena in poltrona

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Anton Francesco Doni (1513–1574) in Paradossi e Capricci, scriveva:

Che dico io dei mostri? Un uomo della nostra statura a punto, del nostro colore, della nostra Italia, pur che fosse vestito d’oro, noi siamo tanto curiosi e colmi di stoltizia, che ci ammazzeremmo per correre a vederlo. Similmente se venisse un altro uomo dagli Antipodi, dalle Maremme o da luoghi più vicini ancora, e che favellasse, o per dir meglio sapesse pur cicalar quattro parole… noi correremmo come matti.
Basti far come le capre: saltar tutte dove ne salta una, senza pensar più oltre. (Paradossi e capricci, in A. F. Doni, Scritti vari, Formiggini, 1925, p 229).

Parole che sembrano scritte oggi. Doni descrive la psicologia della folla e certi comportamenti assurdi molto di moda anche ora. Tutti vedono l’apparenza “il vestito d’oro” e la inseguono, corrono per vedere un uomo di statura comune che potrebbero trovare ad ogni angolo. La folla è bestia, dove salta uno saltano tutti.

Ser Ciappelletto da Prato è un furfante, un pessimo uomo, ma la folla sa che è un santo e come tale viene presentato, perciò la gente crede e lo adora:

Poi, la vegnente notte, in un’arca di marmo sepellito fu onorevolemente in una cappella, ed a mano a mano il dí seguente vi cominciarono le genti ad andare e ad accender lumi e ad adorarlo, e per conseguente a botarsi e ad appiccarvi le imagini della cera secondo la promession fatta. Ed intanto crebbe la fama della sua santitá e divozione a lui, che quasi niuno era che in alcuna avversitá fosse, che ad altro santo che a lui si botasse, e chiamaronlo e chiamano san Ciappelletto, ed affermano, molti miracoli Iddio aver mostrati per lui e mostrare tutto giorno a chi divotamente si raccomanda a lui. Cosí adunque visse e morí ser Cepparello da Prato e santo divenne, come avete udito; il quale negar non voglio, esser possibile lui esser beato nella presenza di Dio, per ciò che, come che la sua vita fosse scellerata e malvagia, egli potè in su lo stremo aver sí fatta contrizione, che per avventura Iddio ebbe misericordia di lui e nel suo regno il ricevette: ma per ciò che questo n’è occulto, secondo quello che ne può apparire ragiono, e dico, costui piú tosto dovere essere nelle mani del diavolo in perdizione che in paradiso. (Dec. I.1).

La letteratura Medioevale conosce addirittura l’innamoramento per fama, ossia la passione amorosa che scaturisce dall’aver sentito parlare bene di una certa persona. Le novelle di Gerbino (IV, 4) e Anichino (VII, 7) ne sono un chiaro esempio.
Del resto lo stesso Petrarca cantava, nella Canzone a Cola di Rienzo: “Se non come per fama huomo s’innamora” e molti dotti scrissero perfino dei trattati per discutere della possibilità di innamorarsi sulla base della fama.
Noi abbiamo fatto di meglio, ci siamo inventati i social in cui l’innamoramento per fama passa dall’individuo alla massa, in modo ultrarapido, come una epidemia, più contagiosa del covid. La fama attrae le masse. Se uno stesso concetto scontato ed elementare lo dice un Pinko, nessuno si strappa i capelli, se lo dice uno famoso che campeggi in Tv, diventa oro colato.
Come all’epoca di Boccaccio e di Doni, si rinuncia a pensare, per cui il meccanismo triturante è sempre lo stesso. Cambiano i mezzi, è cambiata la tecnologia, ma l’umanità è rimasta, purtroppo primitiva e sempre eternamente identica a se stessa.
Le pagine fb che hanno maggior successo sono quelle che copincollano contenuti e detti memorabili dei soliti noti, così tutti commentano e la pagina acquisisce visualizzazioni e consensi da parte dell’uomo comune, in un crescendo in cui si continua imperterriti a non dire nulla sembrando di dire qualcosa, con i famosi che utilizzano ampiamente i mezzi tecnologici per amplificare la loro notorietà ma danno lezioncine di vita alla massa sui danni della tecnologia che avrebbe guastato i rapporti umani sinceri e veri, mentre un tempo sì che era tutto migliore. Infatti un tempo c’erano guerre, violenze, omicidi, capricci di regnanti, abomini dell’uomo sull’uomo, colonialismo, razzismo, misoginia, privilegi sociali intollerabili, etc. etc. Tutto uguale a oggi, se non peggio.
Il bel tempo andato non esiste. L’uomo è nato guasto, non è stata la tecnologia a guastarlo, lo era già. La tecnologia ha reso soltanto più macroscopico il difetto, con le masse che si illudono di essere protagoniste di una storia già scritta. La iena è sempre stata lì, in poltrona, a dirigere le folle. Adesso facciamo finta di non  accorgercene.

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Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    Non ci voleva un genio come Doni
    per far capire che siam dei coglioni
    che andiamo dietro a mo’ di pecoroni
    a finti intelligenti gran fregnoni!
    E noi a questa gente diam gli appoggi
    chattando col PC nei nostri alloggi
    e di omologazion facciamo sfoggi,
    ma fu così da secoli, non oggi!!!

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