Scurati, non sei Orwell

Scurati, non sei Orwell

Scurati, non sei Orwell

Scurati, non sei Orwell

Gli scrittori più famosi dell’asilo, credit Mary Blindflowers©

 

 

Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Scurati, non sei Orwell

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Antonio Scurati, ovviamente accademico, vincitore di vari premi letterari tra cui lo Strega, per più di qualcuno pare faccia lo scrittore.

La sinossi di Seconda mezzanotte, edito da Bompiani nel 2012 recita così:

 

 

… un romanzo visionario. Una grande avventura epica, smisurata e furibonda, che fa i conti con la nostra crisi narrando di uomini in marcia dentro e contro l’onda distruttrice della storia.
Venezia – ricostruita da una multinazionale di Pechino dopo una terribile onda alluvionale – è la perversa Las Vegas della decadenza europea. In un clima africano, una folla di nuovi ricchi vi accorre per concedersi ogni vizio e, soprattutto, per assistere alle lotte tra gladiatori. Piazza San Marco è, infatti, trasformata in un’arena: il Colosseo del terzo millennio. Mentre le Nazioni si dissolvono, il carnevale si avvicina e i padroni cinesi preparano lussi sfrenati e spettacoli crudeli. Intanto, gli ultimi veneziani, ai quali è stata interdetta la riproduzione, vivono confinati in un ghetto. Nessuno sembra più volersi sottrarre alla violenza e alla lussuria di questo bordello della fine dei tempi. Eppure, perfino in questo parco giochi orwelliano, ci sono due uomini in rivolta che si levano contro l’orgia del potere. “Il Maestro”, guida dei nuovi gladiatori, e Spartaco, il suo allievo. L’antica via dei ribelli li condurrà alla città delle donne.
Un libro non solo ambientato nel futuro ma rivolto al futuro, a quella speranza di vita che sorge solo nel senso della lotta.

 

 

Sembra il riassuntino di un romanzetto di quarta serie, lato del bagno. Ma non fermiamoci alle apparenze. Il testo va letto.
Il libro inizia con una citazione da Jared Diamond, Il terzo scimpanzé, con una domanda importante: la miseria dei contadini africani si estenderà gradualmente fino a inghiottire tutti noi?
Andiamo avanti.
Ci troviamo di fronte a uno stile di scrittura ordinario, senza impennate, sperimentalismi o genialità. Insomma, Scurati scrive in italiano corretto, ma con le solite frasettine corte e semplici, così non si sbaglia mai. Il linguaggio è identico a quello di altri milioni di romanzi commerciali.
La vicenda è proiettata nel futuro. La laguna veneta scompare, presa dal mare o, meglio, viene “impaludata in una zona morta”, ma un colosso cinese di telecomunicazioni la acquista dal governo del Nord Italia e così viene ricostituita la Nuova Venezia, la prima di molte zone che l’egemonia cinese avrebbe disseminato nel Mediterraneo.
Il problema di questo tipo di scrittura, a parte la trama piuttosto infantile, è lo stile. Qualsiasi cosa viene narrata freddamente, senza sentimento. Il lettore ha continuamente la netta sensazione di leggere una storia che non riguarda nessuno, chiaramente inventata ad hoc e sciorinata sulla pagina come se fosse un racconto di cronaca, ma senz’anima. Il libro rimane glaciale per tutto il tempo con comunicazione di insistite banalità.
Dov’è la grande avventura furibonda promessa in sinossi? Dov’è lo smisurato, se tutto ci viene raccontato come se si stesse compilando un documento del catasto? Dov’è soprattutto il significato nascosto in questo polpettone che non sa di nulla?
Anche le descrizioni di Venezia, sotto l’egida cinese, sono infantilissime, ma soprattutto poco funzionali alla vicenda. L’autore non è assolutamente in grado di simbolizzarle, anzi le infarcisce di luoghi comuni che si tuffano nel banale con particolari che fanno sorridere, narrati sempre senza sentimento alcuno, cercando di impressionare un lettore da pagine gialle:

 

Quella caverna radiosa divenne immediatamente un simbolo mondiale del nuovo mondo. Da quel momento in avanti tutti gli uomini più ricchi e potenti del pianeta, desiderarono, almeno una volta nella vita, di poter trascorrere una breve vacanza di lussi estremi e vizi efferati in quell’ambiente modificato e protetto. Il secolo cinese… aveva elevato una maestosa cattedrale sorretta dall’aria condizionata Un tempio in cui si consumavano riti di sangue…

 

Le proposizioni di tipo senechiano, brevi e smozzicate, oltre a rivelare una sorta di allergia all’ipotassi, mirerebbero a sferzare il racconto e ad elevarlo ad atmosfera da thriller, ahilui, senza mai riuscirvi, in quanto al narrato manca giusto il mordente. La descrizione, ad esempio, dell’abluzione del Maestro in incipit di romanzo con lo stress dell’abnorme sudorazione notturna, rappresenta, a nostro parere, una fastidiosa slow motion inutilmente descrittiva e assai poco funzionale al dinamismo del racconto. Al massimo una reggente e una subordinata partorisce Scurati nella sua dieghesis e le riflessioni del Maestro nel corsivo mimetico paiono appesantire ulteriormente la lettura. E altrettanto determinano le ridondanze analitiche della struttura fisica del protagonista; ad quid reiterare che il soggetto è un quintale di ossa robuste, nervi elastici, muscoli gonfi, fratture composte?

 

Il problema di Scurati è che cerca, poverino! di imitare disperatamente Orwell, ma non è Orwell, non gli si avvicina nemmeno per sbaglio, e non lo sarà mai. Non bastano premi e premietti a trasformare una penna mediocre in grande scrittura. Non basta sfornare libri e andare in tv a dire ciò che il governo si aspetta che un intellettuale di successo, dica, eh no, non basta e nemmeno insegnare scrittura creativa, perché la creatività non si insegna. Forse si può insegnare l’arte di come riuscire a diventare noti senza nemmeno scrivere niente di eclatante, ma questa è davvero un’altra storia.

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