Riduttivismo, divulgazione, saggistica, déjà-dit

Riduttivismo, divulgazione, saggistica, déjà-dit

Riduttivismo, divulgazione, saggistica, déjà-dit

Riduttivismo, divulgazione, saggistica, déjà-dit

Omologazione, credit Mary Blindflowers©

 

 

Mary Blindflowers©

Riduttivismo, divulgazione, saggistica, déjà-dit

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Vi siete mai chiesti che rapporto ci possa mai essere tra riduttivismo e divulgazione?
Divulgare, termine di derivazione latina che si riferisce alla diffusione tra la folla, il cosiddetto vulgus, di contenuti. Insomma si tratta di “rendere a tutti noto” un avvenimento, un fatto, un’ipotesi, un libro, una scoperta, etc.
Il divulgatore dovrebbe essere colui che si incarica di divulgare.
La divulgazione oggi però ha un piccolo problema.
Il divulgatore è diventato portavoce ufficiale del riduttivismo mainstream, e non soltanto in ambito giornalistico, ma in tutti i campi dello scibile. Vige il dictat della comune operazione di sintetizzare banalmente contenuti già detti, già studiati, già eviscerati e scoperti da altri, come se divulgare fosse sinonimo di spappagallare senza pretese e senza offese, ossia di ripetere a pappagallo e con innocuità stucchevole lo stradetto, ecco così l’ennesimo libro su Dante, il milionesimo zibaldoncello che non approfondisce nulla e ripete il déjà-dit, per non parlare in caduta libera dei libri dei divulgatori scientifici o dei sedicenti giornalisti da salotto e tessera, quelli che fanno il collage, speteggiando nel loro super-attico, unendo tra loro informazioni altrui e chiamando questo fare cultura, scrivere libri.
Il popolino annuisce, tutto contento e compra, tanto i prodotti di questo tipo di forno furbo e manipolatore, li trova dappertutto.
Che senso ha scrivere un libro se non si dice qualcosa di nuovo? Se non si fa minimo una scoperta che si ha il desiderio di comunicare al mondo, di divulgare, appunto? E perché la divulgazione oggi esclude totalmente lo sperimentalismo e la novità? Sta scritto forse da qualche parte che il divulgatore debba per forza essere una formica che raccoglie i pasti del lavoro altrui? Che debba essere un parassita?
Non si potrebbe divulgare anche proponendo nuove ipotesi di ricerca?
La risposta sembra essere diventata negativa, e si rende così noto il noto, mentre la scoperta viene relegata allo stretto ambito accademico, escludendo ovviamente tutti gli studiosi che, pur seri e volenterosi e assetati di nuove scoperte, non fanno parte del giro dei cattedratici e quindi non vengono presi sul serio, anche se hanno verificato le fonti e fatto nuove scoperte.
Ma figuriamoci, gli accademici si citano in bibliografia solo tra accademici, gli altri non esistono, sono i paria della ricerca, guardati con compassionevole snobismo e un risolino di scherno.
La netta separazione tra ricerca e divulgazione, si amplia, diventa una voragine, un abisso che segna lo spartiacque tra ciò che è destinato al popolino, e ciò che invece è destinato allo specialista che spesso usa ad hoc un linguaggio difficile, tecnicamente ed insulsamente ostico, proprio perché sa che il suo bacino di utenza, non è il volgo, o come si dice oggi la massa, ma gli studenti universitari e le riviste specialistiche.
Alle masse si dice ciò che si può dire in stile Bignami.
Il divulgatore non ha ambizioni di ricerca, non gli importa comunicare la novità ma esibirsi come personaggio mediatico, fare video elementari per spiegare in modo semplice la storia o la scienza in pillole digeribili anche a un asinello. Peccato che la storia o la scienza non siano un ansiolitico da distribuire a chi, una volta preso, pensa di aver assolto il suo dovere verso la formazione culturale del sé, ma una serie di ricerche che chiamano altre ricerche che si riferiscono a fonti, che si riferiscono ad altre fonti le quali vengono costantemente parcellizzate, sminuzzate e triturate in modo anche manipolatorio per vendere e diffondere il farmaco curante e lenitivo della storia ufficiale che, ovviamente, va in una certa direzione piuttosto che in un’altra.
Adesso però, siccome con i libri specialistici tira poca acqua al mulino denaro, i professori universitari vanno in tv tutti belli azzimatelli e diventano divulgatori, ciò non significa affatto che diffondano cose nuove, tutt’altro! Forti del loro prestigio accademico, infarinano il nulla e divulgano cose che si sanno da secoli e millenni, rinunciando alla ricerca (chi glielo fa fare), per fare video per polli e per diffondere libri su argomenti in cui ci sono milioni di altri libri identici. Diventano così delle superstar. Se fino al momento della loro esposizione mediatica, nessuno si occupava di loro o sapeva che scrivono libri, dopo l’apparizione in tv, eccoli dei in terra, avranno un volto e una reputazione che consentirà loro di scrivere serie di libercoli stile catenella di Sant’Antonio, buttati sul mercato in grandi quantità, innocui e ripetitivi.
C’è un impoverimento riduttivista che si spaccia per cultura e ottiene due scopi, fa diventare ricchi e popolari i divulgatori, garantisce la manipolazione delle masse e il loro indottrinamento verso la direzione che sceglie il mainstream che ha fatto diventare famosi i divulgatori dell’innocuità.

Così tutti (o quasi) vivono felici (si fa per dire), nel mare magnum del riduttivismo da due soldi che diventa cultura con la c maiuscola.

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