Intellettuale affermato, la democrazia

Intellettuale affermato, la democrazia

Intellettuale affermato, la democrazia

Intellettuale affermato, la democrazia

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Paolo Durando©

Intellettuale affermato, la democrazia

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L’intellettuale che ha avuto riconoscimenti, che si è in qualche misura affermato deve vedersela – e le eccezioni sono rare – con un grosso ostacolo, il suo ego. Più sarà al centro delle attenzioni e più sarà soggetto a condizionamenti fortissimi, di cui tenderà a non volere essere consapevole fino in fondo. Si illuderà sulla propria libertà, indipendenza di giudizio, mentre è evidente che queste saranno inversamente proporzionali al grado di integrazione nel sistema mediatico, editoriale, relazionale dominante.
Un esempio può essere Massimo Recalcati, che già da tempo mi appariva come il classico intellettuale à la page che, fondamentalmente, “non dice nulla”. Avevo apprezzato, in quanto insegnante, il suo “l’ora di lezione”, ma, con l’andare del tempo mi accorgevo che dalle sue riflessioni non mi giungeva mai un punto di vista divergente, spiragli, spunti, idee che prendessero davvero le distanze dal potere. Del resto, le stesse argomentazioni sull’eros implicato nel set scolastico, sulla passione e la cultura incarnata dal docente come “parresia”, prestano anche il fianco a una certa retorica che, dal prof. Keating de “L’attimo fuggente” ai molteplici richiami all’empatia, alla didattica delle “emozioni”, gode di ottima stampa. Si pensi ai costanti richiami in questo senso di Galimberti, un altro filosofo che ha scelto di non dire più nulla che non sia, sostanzialmente, innocuo.
L’insegnante carismatico ed empatico rischia di fare parte, insomma, del consueto scenario radical-chic, dove si preferisce non vedere e non affrontare i problemi che questa figura può creare oltre che risolvere.
La svolta vera di Recalcati fu però quando spiegò l’avversione diffusa a sinistra per Renzi in termini psicoanalitici, come una sorta di invidia dei vecchi per il giovane scafato e performante. Poi è divenuta sempre più visibile la tendenza a puntare sul suo fascino personale e affabulatorio, in questo preso efficacemente di mira da Crozza. Non sarebbe un vero problema, debolezze e vanità ci concernono senza eccezioni, ma tutto sta nel gioco di equilibri che, tra se stessi e lo specchio, può o meno mantenerci autentici.
Finché, il 16 maggio, è apparso su facebook un suo post che costituisce un esempio di come uno dei modi oggi peculiari di sostenere una tesi sia ricorrere ad accostamenti improbabili e talora offensivi.
Sì pensi a chi ha paragonato il green pass alla stella gialla, o alla similitudine tra ucraini e i nostri partigiani. Si tratta di vere e proprie fallacie argomentative, che tolgono credibilità a chi incautamente vi ricorre. In quel post si equiparava chi rivendica il senso della complessità sulla questione ucraina a chi non combatte o addirittura giustifica la… pedofilia. Ho ceduto allora al desiderio compulsivo di commentare, che cerco di combattere ogni volta, e ho osservato, cercando di non apparire aggressivo, che il paragone con la pedofilia non mi sembrava accettabile, che si trattava di essere consapevoli che tante cose non le conosciamo adeguatamente, domandandomi se chi ha molte certezze fosse diventato esperto di storia e geopolitica in poche settimane o credesse ciecamente ai media e giornalisti occidentali. Risultato: bannato nel giro di mezzo minuto.
Sono tanti gli intellettuali pubblici che stanno reagendo in questo modo, credendo di doversi assumere un compito pedagogico o, semplicemente, per evitare ogni contraddittorio.
I cani da guardia del corretto pensiero in Italia, da Gramellini a Grasso al pur bravo Massini, ma se ne potrebbero citare tanti altri, ci stanno dimostrando, nei loro differenti stili individuali, che siamo ancora questo, perenni guelfi e ghibellini dediti al giudizio e intolleranti. La guerra in Ucraina segue la pandemia nel mostrarci un dibattito malato, apparentemente libero, in realtà votato alla delegittimazione e alla semplificazione. Perché riconoscere che in questa vicenda ci sono un aggredito e un aggressore non può significare ignorare il passato recente e remoto, le responsabilità degli USA e della NATO, la mancata elaborazione, anche in Ucraina come in tutti i paesi dell’Europa dell’est, delle derive del 900, ciò che espone il mondo, ancora una volta, all’eterno ritorno dell’uguale.
È come se, nella cosiddetta post-realtà in cui siamo immersi, serpeggiasse sempre più, soprattutto in chi ha conquistato rendite di posizione, la paura di smarrirsi, di non poter più inserire le proprie esperienze e conoscenze in una “enciclopedia” stabile e perdere così sicurezza e prestigio.
La crisi gnoseologica che, a partire dal 2020, ha travolto un Occidente corrotto, pessimista e vecchio, interiormente oltre che anagraficamente, sta mettendo in difficoltà chi si era accasato nell’esistente, chi in una nicchia di consenso e sazietà si stava accontentando della superficie, di un surfismo della conoscenza che deve essere superato, tra nuovi traumi e nuove consapevolezze.

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