Poeta? Vacuo e innocuo

Il poeta? Vacuo e innocuo

Poeta? Vacuo e innocuo

Il poeta? Vacuo e innocuo

La lumaca, credit Mary Blindflowers©

 

 

Mary Blindflowers©

Il poeta? Vacuo e innocuo

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Si parlava in un gruppo letterario di un poeta affermato che personalmente non amo perché lo ritengo “innocuo”.

 

Che sorrisone faccio nella foto!
Sta per iniziare la gita
E scherzo con gli amici.
Tra mezz’ora cadendo,
mi romperò una spalla
e poi sarò operato per due volte
Ma che sorriso faccio, nella foto!
Arreso, felice, imbecille,
Perché, se stiamo bene
abbiamo sempre l’aria da imbecilli.
Una foto qualsiasi, una storia qualsiasi.
Tendini come versi, lunghi e fragili.
Siamo fatti di vetro soffiato:
l’unica cosa buona sta nel soffio

(V. Magrelli da Exfanzia, Einaudi, poesia in copertina).

 

 

Insomma bruttina questa poesia, aritmica. Tutta in prosa mandata a capo. Non c’è nemmeno un verso. La prosa non può nemmeno essere definita poetica: “Perché, se stiamo bene/ abbiamo sempre l’aria da imbecilli”. Questa è una frasettina che può pronunciare il signor Pinko alla fermata di un autobus. Il poeta ci dice che sta per iniziare una gita, prevede che cadrà e si romperà una spalla, poi verrà operato, insomma non la smette un secondo di blaterare prosaicamente di se stesso, in prospettiva totalmente antropocentrica, ma con freddezza, senza pathos. Poi tenta un voletto con la metafora del vetro soffiato. Siamo tutti fragili come vetro, l’unica cosa buona sarebbe il soffio. Presumo intenda la vita in sé che ci viene insufflata, come fa il vetraio quando gonfia il vetro. Insomma il Pneuma (πνεῦμα), l’anima degli stoici o soffio vitale. Niente di nuovo.
La fragilità del vetro come metafora di una umanità debole, non è affatto originale. Simone Adolphine Weil, filosofa francese, diceva infatti che “l’uomo è fragile come il vetro”.
Elizabeth Kubler-Ross diceva che “le persone sono come finestre di vetro a specchio“.
E poi Alda Merini: Addio, parola di vetro./ I poeti sono vasi di Murano,/ bellissimi da vedere ma delicati nel fiato…
La metafora vetro-uomo fragile la troviamo un poco dappertutto. La letteratura ne è strapiena! Quindi Icaro cade a terra perché ha le ali di cera molle. Paf, sentite che è caduto? Il volo è abortito sul nascere.
Per me la poesia che non devasta e non arrugginisce i ponti, non è nemmeno poesia. Così, come ho già detto, ho usato il termine “innocuo” in riferimento al suindicato componimento magrelliano. Ma siccome viviamo in un’epoca di censura, non si può dire nulla.
Subito una docente universitaria mi ha bacchettato: “vacuo forse vorrà dire, non innocuo, e comunque il commento non ha alcun senso”.
La prima cosa che ho imparato nel fare saggistica è che se dici che qualcosa ha senso oppure non ne ha, devi dimostrarlo e sta a te che critichi dimostrare ciò che dici con esempi, prove e confutazioni precise e verificabili e adottare tutti i mezzi del caso per capire meglio cosa l’interlocutore intenda.

Una persona intelligente chiede spiegazioni, quantomeno si sforza di chiedere, “cosa intende per innocuo?” Una persona stupida pensa di sapere tutto e quindi di non aver bisogno di chiedere nulla.
Che una cattedratica facente parte di un certo sistema chiuso pensi che tutti siano stupidi e non distinguano il termine vacuo da innocuo, è atteggiamento comune perché la casta tende sempre a sottostimare chi ha davanti se non fa parte del suo gruppetto di riferimento.

Un ripassino, dunque.

Vacuo: Vuoto, inconsistente, frivolo, privo di contenuti.

Innocuo: Incapace di recar danno.

 

C’è una differenza tra i due termini se applicati al giudizio su una produzione poetica perché la poesia per certuni, non soltanto ha il compito di non dire, e dunque una sostanziale vacuità e frivolezza, ma ha anche la missione di non recar danno, di non disturbare nessuno, di essere innocua.
Un poeta che non disturba e non turba le coscienze, è innocuo, ossia è buono e ovvio e non dice nulla di nuovo atto a violare l’ordine ufficiale del mondo in vista di un futuro differito, come diceva Langston Hughes, grande poeta.
Prontamente interviene un altro docente universitario e fa presente che il poeta di cui si parla ha pubblicato con grossi editori fin dagli anni 80. “Provateci voi, care poetesse colte a pubblicare con Einaudi, se siete capaci!
Sì, caro cattedratico, ci abbiamo provato, non si preoccupi. Ma i grossi editori, se non sei docente universitario o non ti presenta qualcuno, nemmeno ti leggono, tranquillo.
Dunque, secondo l’illuminato docente, la misura della bravura è data dalla pubblicazione con la grossa editoria. La frutta è servita!
Questa asserzione non merita nemmeno di esser presa in considerazione, altrimenti dovremmo ammettere, secondo il medesimo identico principio, che Francesco Sole, sia un poeta, il che mi pare un attimo azzardato da dire.
Non è mancato chi ha paragonato i pigolii di Magrelli alla poesia della Dickinson che, poveretta, si sarà rivoltata nella tomba per aver subito l’onta di un simile assurdo accostamento.
Al di là di tutta questa discussione un po’ caotica e assurda, in cui ciascuno espone il suo punto di vista anche un poco malamente, come spesso accade nei gruppi social, comunque, resta un fatto. La casta non molla l’osso, si arrocca in posizioni pseudo-filosofiche di una insostenibilità così palese che francamente sembra di parlare non con docenti che insegnano nell’Università, ma con dei bambini del nido d’infanzia che, pur di difendere la loro merendina e non dividerla con gli altri, dicono le bugie, fingendo di essere innocenti.
L’innocuità recitata ad arte, è diventata infatti la regola costante. La poesia pigola di sofferenze borghesi girando malamente su se stessa, evitando accuratamente una visione critica del mondo che non può essere criticato perché il poeta fa parte di quel mondo, costruito attorno a lui come il guscio delle lumache, un guscio protettivo che ne rallenta le frequenze ma con devastanti conseguenze per la letteratura e la poesia. Mentre attorno a questa lumaca infatti, corrono poeti e correnti del tutto ignorate, il gasteropode continua a sbavare versi triti e autoreferenti che un pugno di docenti compiacenti e consapevolmente colpevoli, continua a lodare in barba a ogni buon senso e a ogni libertà di pensiero, proponendoci il siero del grande che pubblica coi grandi. Ma ormai non ci crede più nessuno a questa bella favola e quelli che dicono di crederci, fingono.

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Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    Aggiungerei Seneca: “Quid est homo? Quovis quassu vas et quopiam fragile iactatu.”

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