Il fallimento della pittura

Il fallimento della pittura

Il fallimento della pittura

Il fallimento della pittura

Il fallimento della pittura, 1949, credit Antiche Curiosità©

Mary Blindflowers©

Il fallimento della pittura

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Premetto che non amo particolarmente la pittura di Luigi Bartolini, apprezzo di più le incisioni, meno i dipinti che trovo un poco stantii, specialmente le vedute impressioniste, tipiche di un mondo novecentesco che non ha volontà di evolversi e di “scocciare” la realtà come invece ha fatto Picasso da Bartolini ampiamente criticato.
Il fallimento della pittura, lettere dalla XXIV Biennale di Venezia, pubblicato nel 1948 e ristampato nel 1949 dalla Soc. Tipolitografica Editrice Ascoli Piceno, opera polemica bartoliniana, è, a mio parere, un bel libro.
E qui occorre una riflessione in più per non fermarsi a definizioni fuorvianti.
L’autore sa indubbiamente scrivere, anche se in più punti, specialmente quando parla di se stesso, si nota una certa supponenza e superbia autoreferente. Il testo dunque è “bello” perché rimane un documento importante, non perché io condivida tutto quello che scrive.
Oggi non sarebbe possibile pubblicare una simile critica della critica, segno che i tempi sono peggiorati. Nessun artista di rilievo oserebbe muovere la minima rimostranza nei confronti dei critici importanti. Tutto è silenzio cosparso di business, pigolante acquiescenza.
Bartolini invece si scaglia contro i critici, contro la borghesia ignorante. Allora si poteva usare ancora la parola “borghese” che oggi sembra una parolaccia, tant’è che se ti azzardi a dirla, ti trovi subito qualcuno pronto a specificare che “siamo tutti borghesi”, frase perlopiù senza senso compiuto ma che fa sempre un buon effetto negli uditori più o meno colti e in casta (altra parolaccia fastidiosa) campo.
Bartolini critica critici, artisti, premi, Biennale, articolisti anonimi, popolino, etc., definendosi “anarchico celestiale”. La definizione con l’aggettivizzazione positiva, già contiene l’indicazione dell’alta stima che l’artista aveva di sé, poi confermata da quello che scrive:

 

L’altro premio, della Biennale, è andato a Guttuso. Invece di andare non dico a me (che me lo meritavo, ma che non posso vincere i premi in quanto me li gioco con gli articoli critici)…

 

Non manca qua e là di buttar giù sulla pagina l’idea che sia un grande artista, uno dei pochi della sua epoca. Se la canta un poco da solo.
Non è simpatico, a dirla tutta, per nulla. Ma un artista non ha il dovere della simpatia tout court, egli stesso lo precisa e ne è consapevole mentre descrive, dal suo punto di vista, un mondo che conosce bene, quello dell’arte e del suo funzionamento, rivendicando una certa ostilità nel regalare opere alla critica, come usano gli artisti per avere recensioni positive e lisciare i critici, attività oggi più che mai alla moda:

Avrei dovuto lodare tutti, perché tale regola è infallibile per arrampicarsi. Invece ho sempre respinto tutto e tutti perché effettivamente sarebbe riuscito deleterio al mio spirito di poeta ogni connubio fuorché con le muse poussiniane lungo le rive del Tevere… Di me si diceva che ero ambizioso, superbo, denigratore anche di Cristo il contrario. Mai ho chiesto, ad alcuno, un favore: e sempre ho venduto i miei quadri a caro prezzo, le mie acqueforti, senza minimamente pietolare; anzi, a volte, ho ricusato di vendere le mie opere a collezionisti che non mi andassero a genio.

 

E qui gli do ragione. Lodare fa male alla poesia, la rende inerte, molliccia come le lodi stesse. Fa nomi e cognomi dei critici, dice che di fronte ai regali, sono disposti a scrivere qualsiasi cosa, che la fama di un artista è direttamente proporzionale al guadagno che il critico può ricavare da lui. E anche qui, niente da dire, ha centrato il punto.
La parte in cui esagera non è la giusta denuncia  della Biennale, o di un meccanismo che oggi è pure peggiorato, ossia quello di una critica pappagallesca e sterile che cambia parere a seconda di regali e venti politici, o di una borghesia che di arte non capisce un tubo impanato e fritto, bensì quando si ostina a condannare in toto da un punto di vista soggettivo, tutti i pittori che non gli garbano e che giudica negativamente perché rompono l’assetto tradizionale del come si dipinge per Bartolini, giudicando scialbo tutto ciò che non assomigli al suo modo di fare pittura, ancorato ad un passato dal quale non è mai riuscito a staccarsi. I suoi paesaggi ne fanno fede. Francamente non mi piacciono.
Le critiche alla critica e alla ipocrisia borghese, nonché allo sfruttamento del popolo che è troppo impegnato a rompersi la schiena lavorando per poter godere dell’arte, e si butta sullo sport e su divertimenti senza impegno mentale, sono validissime, è stato anche coraggioso nel fare nomi e cognomi dei critici, tuttavia mi piacciono meno le sue affermazioni egocentriche su ciò che può essere definito arte o no usando se stesso come unico punto di riferimento e rifiutando quell’apertura mentale ed artistica verso il surreale e il magico deformante ed esulante dalla perfezione che invece è stato fondamentale per l’arte contemporanea.

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