Sterne, digressioni, editoria, casta

Sterne, digressioni, editoria, casta

Sterne, digressioni, editoria, casta

Sterne, digressioni, editoria, casta

La luce sporca, credit Mary Blindflowers©

Mary Blindflowers©

Sterne, digressioni, editoria, casta

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La linearità dello stile fino all’elettroencefalogramma piatto, la scrittura senza impennate, i romanzi tutti uguali, zero digressioni, zero cesure, una sorta di roipnol per lettori abituati a mettere in stand-by le funzioni principali del cervello e più la scrittura è innocua ed inutile, più è probabile che faccia successo perché chi comanda vuole che la gente venga disistruita, ossia vengano distrutte permanentemente le sue capacità neuronali di sintesi e critica, attraverso l’ipnosi dell’inutile.
Un’operazione in atto da diverso tempo che ha come risultato la diminuzione del numero dei lettori e l’invasione del mercato di libri che potevano anche non essere scritti ma che vengono commentati ovunque, anche sui social, come riflesso fortemente condizionato dell’interesse del mainstream.
La digressione o la cesura sono stata relegate nello sgabuzzino delle scope vecchie. Stanno lì, aspettando che qualcuno le liberi. Il problema è che il liberatore non può essere uno qualsiasi, deve già essere scrittore laureato, che già pubblica con la grossa editoria, altrimenti chi lo prenderebbe in considerazione? Nessuno. Ma nessun poeta laureato supera la soglia dello sgabuzzino delle scope perché si sta così bene tra le nubi della monotonia acclamata, che non varrebbe la pena di rischiare, così mi capita di leggere libri contemporanei tutti uguali, trovarne uno che non corrisponda ad un criterio di esasperante piatta linearità, è un’impresa titanica che richiede ore ed ore a cercare negli scaffali della libreria qualche prodotto, perché ormai il libro è un prodotto, che spezzi l’ordine, l’armonia, che rispetti il caos della natura con quel sublime disordine che Sterne chiamava “digressivo e progressivo” contemporaneamente:

… la struttura del mio lavoro è di una specie singolare, avendovi io voluto e saputo introdurre e conciliare due movimenti contrari, che si sarebbero creduti incompatibili l’uno con l’altro. Insomma il mio lavoro è digressivo – ma contemporaneamente è anche progressivo. È una faccenda non molto diversa da quella del movimento che fa la terra nella sua rotazione giornaliera sul suo asse, la quale, mentre progredisce nella sua orbita ellittica, costituisce con questo progresso l’anno solare, con tutta la varietà delle sue stagioni. Confesso, infatti, che la mia idea è nata da ciò; e credo, del resto, che la maggior parte delle più famose scoperte non siano state suggerite che da cose insignificanti.
Indubbiamente le digressioni sono il raggio di sole, la vita, l’anima della lettura! Sopprimetele, per esempio, da questo libro: tanto varrebbe sopprimerlo tutto. Un freddo glaciale, un’insipida monotonia spirerebbe da ogni pagina. Rendete invece allo scrittore le sue digressioni, ed ecco che ridiventa vario, brillante, vivace. Tutta l’abilità naturalmente, in fatto di digressioni, consiste nel saperle maneggiare, perché esse siano di giovamento non soltanto al lettore ma anche all’autore… (Sterne, Tristan Shandy, Formiggini 1922).

La digressione rende brioso il racconto, spezza la noia, fa riflettere e offre ampi spazi al pensiero critico. Il mercato però non vuole mettere in moto un meccanismo socialmente pericoloso, vuole solo dei lettori compratori annoiati a morte che si prendano il primo libro che capita in vetrina e lo leggano svogliatamente per sembrare più colti e far bella figura con gli amici nel caso la conversazione verta sull’ultimo libro letto.
La digressione presuppone una certa abilità nello scrivere che però ovviamente non basta.
Se tutti gli abili a scrivere venissero pubblicati per merito, si cambierebbe completamente la storia della letteratura, molti autori sparirebbero per non essere mai più citati in nessun contesto, ma questo non accadrà mai perché gli editori sono aziende private e se decidono di non interessarsi alla letteratura e di pubblicare cose inutili e lineari (e ne pubblicano tante), possono farlo. In poche parole pubblicano chi vogliono in barba a talento, digressioni, abilità nella scrittura, stile, creatività, contenuti, etc. etc. Queste sono cose che non contano nulla.
E i giornalisti?
Idem, recensiscono chi vogliono o meglio chi comanda il padrone, in barba a digressioni, abilità nella scrittura, etc. etc. Queste sono cose che non contano nulla.
E gli accademici?
Idem, fanno le analisi critiche dei testi del mainstream, in barba a digressioni, abilità nella scrittura, etc. etc. Queste sono cose che non contano nulla.
E quindi?
Quindi niente.
Quest’è.
Se vi guardate le biografie degli scrittori più in voga sono tutti figli di qualcuno, oppure manifestini di partito.

Domanda.

Ma è mai possibile che tra i figli di nessuno o tra quelli che non vogliono stare appresso a un politico, non ce ne sia uno bravo, nemmeno per sbaglio? Statisticamente, siccome i poveri fanno più figli dei ricchi e oggi hanno più accesso alla cultura, questo è impossibile, ma questa irrealtà, diventa magicamente reale in editoria. Sanno scrivere solo i figli dell’alta borghesia, gli altri non sanno far nulla di creativo a quanto pare. I geni nascono tutti borghesi, figli o amanti di professori universitari, di registi, di giornalisti, di scrittori, di critici, etc. Caspita gli scienziati dovrebbero farci uno studio sopra, capire come mai costoro son tutti geni e gli altri zero, come mai costoro sono una super-razza e gli altri comuni mortali figli di un dio minore, una sub-razza.
La casta incarna l’ideale hitleriano di una razza superiore. L’editoria è razzista. Quindi risparmiatevi tutte quelle sviolinate sulla lettura che unisce, sulla cultura che non conosce frontiere, sui libri che aiuterebbero a vivere, leggi e vivrai di più! Oppure il balsamo che recita: Se sei bravo prima o poi arrivi… Dove arrivi? E la stoccatina finale: si vede che non eri abbastanza bravo! Vi prego! No! Sono scempiaggini. Risparmiatevi quelle frasette belline belline stile consolatorio da refettorio delle suore: i poveri se lo creano lo spazio, oggi ci sono molte possibilità per tutti… Evitate anche la tiritera che il termine borghese sarebbe volgare, fuori moda, offensivo se usato in un certo modo, perché saremmo tutti borghesi ormai. Offendetevi che non me ne importa nulla. Poveri illusi! Tutti chi? Cosa vuol dire tutti? Voi siete tutti?

Si potrebbe scrivere un romanzo sull’importanza di esser colti, con una bella digressione: quello che non ha realizzato Hitler lo realizza l’editoria. Temo però che nessun editore lo pubblicherebbe volentieri.

State bene.

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Rivista Destrutturalismo

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