Leopardi, superbia o libertà?

Leopardi, superbia o libertà?

Leopardi, superbia o libertà?

Leopardi, superbia o libertà?

Riflessioni d’inverno, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Leopardi, superbia o libertà?

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È diffusa la convinzione presso certi articolisti della domenica o del sabato notte dopo una sbornia, che Leopardi fosse superbo. In una sua lettera datata 6 febbraio 1829, all’avvocato Ferdinando Maestri, il poeta scriveva, riferendosi alla cattedra di storia naturale che gli era stata offerta all’Università di Parma:

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Vengo dunque all’affare: nel quale io veggo due difficoltà molto gravi. La prima: che in quella materia io sono, a dir proprio, un asino: e mettermi a farne uno studio fondato per impararne quanto bisogna a insegnarla altrui. Dio sa quanto mi sarà possibile con questa salute che, in quanto alla facoltà di studiare, peggiora ogni giorno.

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Leopardi voleva nuovamente andarsene da Recanati, dopo l’esperienza pisana, ma aveva bisogno di un impiego per poterci riuscire. Il desiderio di allontanarsi da Recanati che odiava, era in lui fortissimo, tuttavia per la cattedra di storia naturale, aveva le sue perplessità e ammetteva tranquillamente di non saperne molto. Questo nonostante si fosse interessato alla storia dell’astronomia, e fin da ragazzo fosse stato attratto dal mondo della natura.

La Storia della astronomia dalla sua origine fino all’anno MDCCCXI, scritta da Giacomo Leopardi ancora adolescente, è conservata in due manoscritti di casa Leopardi a Recanati, uno interamente autografo datato 1813. Il lavoro fu pubblicato dopo la morte dell’autore da Cugnoni nel II volume delle Opere inedite (Halle, Niemeyer, 1880), senza però il capitolo V che Francesco Flora fece stampare per la prima volta nella Nuova Antologia, 1940. Il testo completo fu pubblicato dal Flora in Poesie e prose. Se Flora giudicava il lavoro alla stregua di una semplice compilazione, Pio Emanuelli, astronomo, ebbe però a scrivere:

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Considerata in rapporto all’età dell’autore (14-15 anni) è un’opera che sorprende per la vastità dell’erudizione e per il criterio con cui la materia, tutt’altro che facile, è presentata al lettore. (…) Considerata in sé (…) è una compilazione e null’altro, in cui l’erudizione posticcia rivela la diversità delle fonti che spesso non sono dirette. Malgrado questo, noi riteniamo che, ancor oggi, essa possa essere letta con profitto da chiunque desideri formarsi un’idea generale del progresso conseguito attraverso i secoli dalla scienza astronomica. I soli riferimenti bibliografici (che sono più di millenovecento) la rendono pregevole. Non dubitiamo che, emendata dalle manchevolezze accennate, e aggiornata a tutto il secolo XIX, diverrebbe un trattatello elementare di storia dell’astronomia, meritevole di un buon successo (Pio Emanuelli, Giacomo Leopardi storico dell’astronomia, Archeion, 19 (1937), pp. 236-239).

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Nel primo volume delle Opere inedite pubblicate sugli autografi recanatesi (1878-80) e riportato nell’Indice delle produzioni di Giacomo Leopardi dall’anno 1809 in poi, Cugnoni, cita il Compendio di storia naturale di Leopardi, manoscritto del 1812, pubblicato da Mimesis nel cui volume si legge:

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è un quadernetto di sessantadue fogli suddivisi in dodici brevi trattati che presentano alcune descrizioni di “storia naturale” nei suoi tre “regni”: animale, vegetale e minerale. Oltre a vantare uno straordinario valore assoluto, l’opera permette di ricostruire le modalità di lettura e d’uso delle fonti naturalistiche e scientifiche del giovane Leopardi, facendo emergere scelte espressive, lessicali e di contenuto non trascurabili per una migliore comprensione della sua matura scrittura poetica e letteraria.

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Tuttavia Leopardi non si sentiva sufficientemente ferrato in materia di scienze naturali, tanto da definirsi autoironicamente “un asino”.
Leopardi fu sempre estremamente critico non solo verso il mondo che lo circondava ma soprattutto verso se stesso. Amava spesso definire i suoi lavori “coserelle” se non addirittura “coglionerie” e chiedeva il parere degli amici o del fratello Carlo sulle sue opere, conscio del fatto che la letteratura non è materia perfetta:

 

Carlo mio, ti ringrazio infinitamente… devi certamente ridere, come io fo, della filologia, della quale mi servo qui in Roma… e servendomene sempre più ne conosco la frivolezza. In particolare poi l’articolo che ti ho mandato è una vera coglioneria… (Lettera a suo fratello Carlo, 22 marzo 1823).

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Leopardi alla fine, date le sue titubanze, non prese la cattedra all’Università di Parma.
Già in altre occasioni, aveva rifiutato cariche vantaggiosissime, tipo la prelatura:

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In somma è quasi certo che s’io avessi voluto farmi prelato, tu tra poco avresti sentito che tuo fratello in mantelletta se n’andava a governare una provincia. La grande spesa ch’è necessaria per mettersi l’abito paonazzo, si sarebbe sostenuta con imprestito, che qui si sarebbe trovato facilmente, quando si fosse avuta la carica, o l’assicurazione della carica. Io mi diedi un’occhiata d’intorno, e conchiusi di non volerne saper niente. Le ragioni, che ti potrei dire, son molte: io credo che tu convenga con me; in caso diverso, assicurati almeno che io non presi questa risoluzione, per irresoluzione o poco coraggio; ma perché da molto tempo, e prima di venir qua, e molto più dopo venuto, io ho fatto questa deliberazione, che la mia vita debba essere più indipendente che sia possibile, e che la mia felicità non possa consistere in altro che fare il mio comodo… (Lettera a suo fratello Carlo, 22 marzo 1823).

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Superbia dunque o desiderio di libertà?

Decida chi legge.

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