Leopardi schietto, ipocriti letterati

Leopardi schietto, ipocriti letterati

Leopardi schietto, ipocriti letterati

Leopardi schietto, ipocriti letterati

Foglia unica, credit Mary Blindflowers©

 

 

Mary Blindflowers©

Leopardi schietto, ipocriti letterati

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Io sono risolutissimo e quasi certo che non mi inchinerò mai a persona del mondo e che la mia vita sarà un continuo disprezzo di disprezzi…(Giacomo Leopardi, lettera a Giordani, 2 marzo 1818).

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In una lettera a Pietro Giordano del 29 Dicembre 1817, si scopre un Leopardi ironico che affrontava un tema attualissimo: la schiettezza tra letterati. Dalle parole del poeta si intuisce che Giordani si è risentito per alcune critiche fatte da Giacomo al suo lavoro. Leopardi affermava di voler essere schietto almeno con gli amici, convinto che l’applicazione della dialettica tra persone che si stimino sia positiva, anche se la pratica comune imponeva di discutere soltanto con persone adottanti lo stesso parere, in modo da evitare attriti. Siccome, afferma sarcasticamente Leopardi, seguo il metodo di Alfieri nel diventar saggio, io non discuto mai con nessuno. Il suo parere infatti non coincideva con quello di nessuno a Recanati, dunque si imponeva di star zitto di fronte alle peggiori castronerie, “spropositi da stomacare i cani”, e più gli si diceva che avrebbe dovuto esprimere un parere, più era incline al silenzio. Il tono è ovviamente ironico, amaramente divertito da una società di  ipocriti ed egocentrici.
Se consideriamo oltretutto che Leopardi e Giordani ancora non si conoscevano di persona, come non cogliere la sorprendente attualità di ciò che dice Leopardi anche nell’epoca dei rapporti filtrati dai social?
Ma leggiamo:

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Io non so veramente come domine vi sia potuto cascare in testa di mettervi in parata per una frase innocentissima ch’io aveva usata né più né meno per significare il tempo in cui aveva segnate quelle cosucce ne’ vostri articoli.
Mettetevi un poco ne’ miei panni e siate contento di dirmi come avreste scritto voi per esprimere questo tempo… Ma quando mi fosse dispiaciuto, come voi credete, d’aver notati quei vostri (che voi chiamate) errori, vorrei pur sapere che cosa mi forzava di confessarvi questo peccato, e per soprappiù di promettervi che quelle osservazioncelle ve le avrei scritte o dette a voce. Ora giacché mi predicate tanto la schiettezza e la libertà cogli amici, sappiate ch’io riprendo in quel paragrafo della vostra lettera molte cose. Primieramente quello stesso vizio di cui m’accusate voi, dico la troppa prudenza cogli amici. Voi mi chiamate accortissimo politico per un detto che a intenderlo, come l’intendevate voi, era una bambinaggine per non dir peggio. In verità che questo sarebbe un bel complimento da farsi a un amico. Sappiate, mio caro, che quando io non v’amava tenea conto de’ vostri errori, ma al presente, tolga Iddio! In secondo luogo riprendo che vi mettiate di proposito a provarmi certe cose, delle quali se non credete ch’io sia persuaso quant’uomo del mondo, fate male ad amarmi; poi che abbiate così facilmente creduto il vostro amico o sciocco o vano o scortese, e pigliato ombra per così poco; in oltre che vi chiamiate amicissimo di gente che vi reputa tutt’altro che quello che siete, di maniera che è o balorda o maligna, e non è possibile che voi la stimiate: ora io non posso né credo che un par vostro possa amare persona che altresì non istimi; e però stimando pochissimi, amo tanto pochi che, a volerli contare con le dita una mano sarebbe d’avanzo. Del resto è più che vero quello che voi dite del disputare cogli amici. Anzi io credo che con gli amici soli, o con quelli che facilmente ci potrebbero essere amici, sia ragionevole e utile il disputare. Dice santamente il mio caro Alfieri nella sua vita, che egli non disputava mai con nessuno con cui non fosse d’accordo nelle massime. E questa credo che sia la pratica dei veri savi: onde io, studiandomi di diventar savio, e in Recanati non andando d’accordo nelle massime con nessuno, non disputo mai, ed ostinatissimo mi lascio spiattellare in faccia spropositi da stomacare i cani, senza mai aprir bocca: del che tutti, com’è naturale, mi riprendono, e dicono che bisogna dire il proprio parere, e altre cose belle, ma predicano ai porri…

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Oggi non è forse lo stesso? Non dicono tutti che occorre esprimere liberamente il proprio parere, per poi risentirsi se appena appena li contraddici nelle loro massime da far allappare i vetri? Passano i secoli, ma la natura umana non cambia.

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Comment (1)

  1. GIANCARLO

    Molto umano, vero, si vedono gli errori degli altri ma non i propri.

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