Giacomo Leopardi, genio schernito

Giacomo Leopardi, genio schernito

Giacomo Leopardi, genio schernito

Giacomo Leopardi, genio schernito

Solitaria, credit Mary Blindflowers©

 

 

Mary Blindflowers©

Giacomo Leopardi, genio schernito

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Una delle lettere più commoventi e interessanti di Leopardi a Pietro Giordani, risalente all’8 dicembre 1817, svela un uomo umanissimo e critico al tempo stesso. La lettera illumina il lettore sul fatto che la mentalità italiana sia rimasta prettamente ottocentesca.
Leopardi viveva già nel futuro mentre i suoi contemporanei erano ancorati superbamente al passato.
Mette veramente i brividi il fatto che questo grande filosofo e poeta confessi al suo amico la scarsa attenzione ricevuta dalla società della sua epoca, intenta a celebrare altri fatui talenti, ben inseriti nei salotti, un po’ come avviene ancora oggi. Non a caso la borghesia salottiera ancora adesso fa miseri tentativi di screditare e gettare il ridicolo sul poeta recanatese, tacciandolo di invidia da depresso. Leopardi non godeva di buona salute ma era tutt’altro che invidioso e depresso. Le sue lettere lo dimostrano.
Ignorato dal proprio tempo cieco, il poeta non ricava un soldo dai suoi libri, grazie anche agli editori dormienti e indifferenti (e anche qui nessuna novità), che poco si preoccupano di distribuire i suoi testi e far conoscere il suo nome. Il genio è così costretto a chiedere i soldi al padre perfino per comprarsi i libri:

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Certo è che ora pochissimi sanno il nome mio… ed io quando s’abbia a conoscere qualche mia cosa, non mi curo che sia conosciuta altra che questa imperfetta com’ella è. Ma questa appunto ( si riferisce ad una sua traduzione dei classici) perché tutto vada secondo il mio desiderio, posso dire con verità che l’averla fatta stampare non m’ha giovato ad altro che a donarne tre copie in tutto e per tutto, non contando io per niente quel mezzo centinaio che n’ho fatto seminare… Insomma, ella è perfettissimamente ignota da codeste parti, dove pur vedo che si parla di vento altre traduzioni, che in coscienza non posso dire che siano migliori. E questo viene che io, non avendo nessunissimo commercio letterario con nessuno, non posso da me stesso spargere nessuna opera né mia né altrui, neanche donandola. E lo Stella che, non potendo io donare per la ragione che ho detto, aveva promesso di badare allo spaccio di quel libercolo come di cosa propria. Lo lascia dormire a suo agio, come è naturale, è come ho veduto in una nota ch’ei m’ha mandata. E dorma in pace, ch’è meglio ch’io non v’abbia potuto dare questa briga… Sappiate che io non ho un baiocco da spendere, ma mio padre mi provvede di tutto quello che io gli domando e brama e vuole che gli domandi quello che desidero. E io tra il non avere e il domandare scelgo il non avere, eccetto se la necessità dei miei studi o la voglia troppo ardente di leggere qualche libro non mi da forza. E dico la voglia di qualche libro, perché niente altro che libri io gli ho domandato mai.

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Nemmeno in famiglia o a Recanati il poeta ha il riconoscimento che merita. Si lamenta infatti con il Giordani di essere trattato con sufficienza se non addirittura schernito da quanti lo considerano un “saccentuzzo”, una specie di curioso eremita intento a comprar libri, passioncella che viene considerata di passaggio, una specie di vezzo giovanile destinato ad estinguersi con il tempo. L’ambiente gretto e provinciale nel quale vive non riesce a comprendere il suo genio, ma Giacomo, sia pur afflitto dalle sofferenze fisiche, reagisce, consapevole della sua superiorità:

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E non voglio lasciar di dirvi che questi paesi in verità sono sterili e difficili… Alla fine io sono un fanciullo e trattato da fanciullo, non dico in casa, dove mi trattano da bambino, ma fuori chiunque ha qualche notizia della mia famiglia, ricevendo una mia lettera e vedendo questo nuovo Giacomo… suppone che io sia uno dei fantocci di casa, e considera che rispondendo egli uomo fatto… a me ragazzo, mi fa un favore; e però con due righe mi spaccia, delle quali l’una contiene i saluti per mio padre in Recanati poi io sono tenuto quello che sono, un vero e pretto ragazzo, e i più ci aggiungono i titoli di saccentuzzo, di filosofo d’eremita e che so io. Di maniera che se io m’arrischio di confortare chicchessia a comprare un libro, o mi risponde con una risata o mi mette in sul serio e mi dice che non è più quel tempo; che venga avanti e vedrò io; che anche egli dell’età mia aveva questo genio di comprar libri, il quale se n’è ito, venendo il giudizio; che il medesimo succederà a me : e allora io ragazzo non posso alzar la voce e gridare: razza di asini, se mi pensate che io m’abbia a venire simili a voi altri, v’ingannate a partito: che io non lascerò d’amare i libri se non quando mi lascerà il giudizio, il quale voi non avete avuto mai , non ch’egli vi sia venuto quando avete lasciato d’amare i libri. Vedete dunque, oltre al ritratto della mia felicità presente, come io sono inettissimo a servir voi e le lettere in questo particolare e in altri tali.

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Anche oggi l’Italia è sterile e difficile per chi è fuori dai circoli letterari che contano. Il paradosso di trovarci in pieno Ottocento nell’epoca della comunicazione di massa, dimostra inequivocabilmente che le dinamiche del successo non cambiano e non cambieranno a breve.

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Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    E come lui la Dickinson, Kafka, Poe e tanti altri troppo avanti per la loro epoca.

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