Leopardi, natura, ordine, caos

Leopardi, natura, ordine, caos

Leopardi, natura, ordine, caos

 

Leopardi, natura, ordine, caos

Il titolo è senza titoli, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Leopardi, natura, ordine, caos

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Pietro Giordani (Piacenza, 1º gennaio 1774 – Parma, 2 settembre 1848) fu amico di Giacomo Leopardi col quale a partire da metà Ottocento, intrattenne un interessante rapporto epistolare.
In una sua lettera al Giordani del 30 maggio 1817, Leopardi commenta gli opuscoli del Giordani con accenti critici ed argomentativi che dimostrano la sua mentalità progressista già post-ottocentesca. Il poeta aveva infatti intuito che l’arte non ha il dovere di rappresentare sempre e solo il bello ma anche il mostruoso, il deforme, l’orrido, tutti aspetti che fanno parte del reale e che grazie all’elaborazione creativa, diventano “dilettosissimi”. Una visione dell’arte che fissa i suoi principi rappresentativi soltanto all’estetica del bello e della gradevolezza formale, diventa dunque, per forza di cose, parziale, perché il difetto fa parte della natura, è perciò ineludibile. Non essendo un animale da salotto, Leopardi confessa all’amico le sue perplessità:

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In questa tanto squisita prosa ho trovato un’opinione sopra la quale avrei qualcosa da dire. Ella ricorda in generale ai giovani pittori che senza stringente necessità della storia (e anche allora con buon giudizio e garbo) non si dee mai figurare il brutto. Poiché, soggiunge, l’ufficio delle belle arti è pur di moltiplicare e perpetuare le immagini di quelle cose o di quelle azioni cui la natura o gli uomini producono più vaghe e desiderabili: e quale consiglio o qual diletto crescere il numero e la durata delle cose moleste, di che già troppo abbonda la terra? Me parrebbe che l’ufficio delle belle arti sia d’imitare la natura nel verisimile. E come e massime astratte e generali che vagliono per la pittura denno anche valere per la poesia, così, secondo la sua sentenza, Omero, Virgilio, e gli altri grandi avrebbero errato infinite volte; Dante sopra tutti che ha figurato il brutto così sovente. Perocché le tempeste, le morti e cento e mille calamità, che sono altro se non cose moleste, anzi dolorosissime? E queste con innumerevoli pitture hanno moltiplicato e perpetuato i sommi poeti. E la tragedia sarebbe condannabile quasi intieramente. Di natura sua. Certamente le arti hanno da dilettare, ma chi puà negare che il pianto, il palpitare, l’inorridire alla lettura di un poeta non sia dilettoso? Anzi chi non sa che è dilettosissimo? Perché il diletto nasce appunto dalla maraviglia di vedere così bene imitata la natura…

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Eppure ancora oggi c’è chi è convinto che l’arte si leghi alla sola bellezza, una visione riduttiva mutuata dal mondo classico.
Il binomio arte-bellezza, l’idea fallace della ricomposizione, dell’ordine ben strutturato, il famoso ordo ab chao, l’ordine dal caos, è dura a morire.
Tuttavia il Destrutturalismo sostiene il suo contrario, in barba ai principi di strutturazione del reale creanti un ordine puramente artificiale quanto spesso artificioso, ci si domanda se invece il mondo non nasca dal caos e viva nel caos, tant’è che ogni tentativo di controllare il reale, si rivela vano e mette in luce l’insignificanza umana e ogni insano e deleterio antropocentrismo.
Ridurre l’arte all’ordine, alla compostezza di forme e alla bellezza, porre l’uomo al centro di ogni riflessione, significa elevarsi al di sopra della natura che, e già Leopardi lo avvertiva, è più forte dell’uomo, dato che è l’uomo ad imitare la natura e non il contrario.
La rinuncia al caos originario è un atto di accusa verso la natura, l’idea che il mondo si possa e si debba ordinare secondo principi puramente umani, è follia antropocentrica ancora di gran moda.
Siamo solo punti persi nell’infinito. Cosa possiamo mai pretendere di controllare, quando a malapena riusciamo a conoscere in parte, noi stessi? Che direbbe il poeta di Recanati di questi tempi in cui l’antropocentrismo e il mito del nome hanno sostituito la profondità?

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Rivista Destrutturalismo

 

 

 

Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    Povero Giordani! Troppo più intelligente Leopardi. Euripide tocca vertici inarrivabili proprio quando nella “Medea”, la donna emigrante per antonomasia, vengono massacrati dalla mamma i propri figli. E idem quando nell’ “Eracle”, il solare eroe liberatore del mondo, il protagonista colto da pazzia, massacra i propri figli. E Virgilio si esalta nella descrizione delle schifosissime Arpie che sdiarreano immondamente.

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