Eliodoro, Romanzo d’Etiopia, classici

Eliodoro, Romanzo d'Etiopia, classici

Eliodoro, Romanzo d’Etiopia, classici

Eliodoro, Romanzo d'Etiopia, classici

Eliodoro, Romanzo d’Etiopia, Formiggini 1922, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Eliodoro, Romanzo d’Etiopia, classici poco noti

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Nella nota del traduttore dell’edizione Formiggini del Romanzo d’Etiopia di Eliodoro, impresso in Vienna nelle officine Manz, nel 1922, è scritto:

 

Vediamo un po’, mi son detto: poiché in Italia, e probabilmente anche altrove, ben pochi conoscono questo vecchio romanzo greco, vediamo un po’ se mi riuscisse di renderlo noto più di quanto non sia. E mi sono accinto alla nuova prova, che trovai poi assai più ardua che non m’ aspettassi, perseguendo il mio ideale di dar veste moderna ad opere degne d’ esser tolte dall’ oblio più o meno profondo che le copre.

— Ma, si dirà, meritava quest’opera d’esser tradotta?

— Sicuro che lo meritava, rispondo io. Credete forse che sia da buttar via, anche se fu scritta quando la Grecia era in piena decadenza e vi mancano gli splendori di pensiero e di forma, che caratterizzano la letteratura di quella nazione nel suo fiore ? Gli è che il romanzo greco non trovò modo di fondere in sé, tranne la cultura, nessuno di quei pregi di potenza, di vivacità e di scioltezza, che fanno cosi sublimi ed attraenti i migliori prodotti dell’ingegno e dello spirito ellenico ; ma all’ epoca di Eliodoro , che è l’ epoca dell’ imperatore Teodosio, la Grecia aveva perduto, ormai da molto tempo, se non l’influenza suggestiva, ogni virtù che potesse far rivivere, sia pure sotto altre forme e in opere diverse, il genio spento della stirpe. Qui abbiamo un racconto semplice, piano, sereno, oggettivo, riflessivo, che procede lungo un filo ben condotto, attraverso un intreccio mirabilmente disposto, in cui l’interesse del lettore è tenuto desto col variar degli ambienti, dei discorsi, dei personaggi, degli episodi. È un lavoro organico, che non può essere stato concepito, ordinato e scritto che da una mente superiore…

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Confesso di aver fatto fatica a leggerlo. La mente superiore, come la chiama Umberto Limentani, per me ha concepito un polpettone pieno zeppo di inverosimiglianze. La verosimiglianza, a dire il vero, non era la principale preoccupazione dei romanzi antichi, però in questo caso raggiunge livelli ridicoli, tanto che un personaggio piange sul presunto cadavere della sua amata e si dispera e fa per suicidarsi, e lo avrebbe fatto se non gli avessero levato la spada, senza nemmeno accorgersi che la morta non è la sua donna ma un’altra. Quindi piange su un cadavere che non ha nemmeno guardato in faccia. Il pathos poi è artificiale, senza verve. Situazioni che dovrebbero commuovere, lasciano indifferenti quando non appaiono del tutto ridicole.
Ma il difetto principe del romanzo è la pretesa di castità in cui si avverte forte la dinamica di un’etica già vicina al cristianesimo. L’eroina è sempre ansiosa di dimostrare di esser casta e buona. I personaggi principali sono indefettibili, macchiette più che personaggi. Il peso di un cammino che conduce ad una Verità Rivelata, si rivela molto pesante per il lettore. il romanzo è stucchevole.

Eliodoro (da non confondere con l’omonimo vescovo di Tricca), Fenicio di Emesa, vissuto nel III secolo dell’era volgare, sacerdote del culto misteriosofico di Helios, ha un’unica e costante preoccupazione, dall’inizio alla fine del romanzo, diffondere nel mondo tardo-ellenistico il messaggio della fede. Le Etiopiche, definite da alcuni critici un capolavoro, perché utilizzano procedimenti letterari in uso anche oggi, per esempio flash-backs e racconti intradiegetici snodati attraverso un’architettura narrativamente piuttosto complessa, sono tuttavia rovinate dall’ideale religioso e morale che sta alla base del testo e lo rende grave. Non troviamo in Eliodoro quella spensieratezza scevra da preoccupazioni di ordine morale che anima per esempio L’Asino d’oro o Metamorfosi di Apuleio, ma un pesante moralismo derivante dal sincretismo religioso nutrito di neoplatonismo e religioni orientali, dell’epoca di Teodosio.
L’afflato religioso-sacrale, lungi dal garantire quel mistero che aleggia in Apuleio, ha rovinato la spensierata libertà dell’opera, rendendola a tratti cupa, patetica e un poco meccanica nell’esposizione perché i personaggi sono stereotipati, quasi inumani nel loro dover svolgere un ruolo morale senza mai deviazioni o cadute.
Si è detto che sia l’Odissea sia le Etiopiche sono la storia di un nóstos e che quindi non sia improbabile che Eliodoro abbia voluto imitare Omero ricalcandone certi aspetti strutturali e cronologici adattati alle esigenze del romanzo. Al di là però di queste considerazioni tecnico-strutturali, il paragone con l’Odissea, vede Eliodoro perdente. Le Etiopiche non hanno quel fascino immortale e disinibito delle avventure di Ulisse o delle peripezie di Lucio. La magia si è tristemente imbigottita.
I personaggi di Eliodoro, sembrano macchine più preoccupate di dimostrare la Verità che di vivere realmente e il lettore se ne accorge e finisce con lo stancarsi.
L’arte che ha troppe preoccupazioni dottrinali finisce per ripiegarsi su se stessa e involversi nella noia. Il romanzo può essere interessante soltanto in vista di un’analisi della sua struttura narrativa e della filosofia misteriosofico-rivelata che anima i personaggi. Ma i lettori comuni non sono semiologi o filosofi, dunque Eliodoro è poco letto e conosciuto perché, diciamolo, è un mattone.

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