Sirio, Pan, Impero, Afghanistan

Sirio, Pan, Impero, Afghanistan

Sirio, Pan, Impero, Afghanistan

Sirio, Pan, Impero, Afghanistan

Dal giardino dei suoni, credit Mary Blindflowers©

 

Angelo Giubileo©

Sirio Pan Impero Afghanistan

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Il mito del Grande Pan che muore appartiene al tempo cronologico di Kronos (che originariamente è trascritto in greco con l’iniziale X al posto di K, cosa di cui ci occuperemo a breve), e quindi è una storia che può riproporsi ciclicamente ricorrendone le necessarie condizioni. Il Grande Pan è ciò che possiamo dire una “imago dei”: che cosa dunque rappresenterebbe?
Ritengo che essa sia servita – erroneamente – a rappresentare ciò che i filosofi della Modernità hanno chiamato “Uno-Tutto”, laddove invece nell’immagine in questione non vi è traccia di un Uno-asimmetrico quanto piuttosto di un Tutto-simmetrico, così che Il Grande Pan sarebbe (è sempre bene usare il condizionale, per chi “crede” all’epochè o vive nella pratica della sospensione del giudizio) quel Tutto, ovvero l’Essere “che è e non è possibile che non sia” (Parmenide).
Qui lo sforzo massimo sta nel semplificare un discorso che, viceversa, non può avere mai fine, perché il linguaggio del Mito è per sua stessa essenza uno strumento “ambiguo”; nel senso che ogni elemento di esso sfugge a ogni tipo di caratterizzazione (così come la X che diventa K), identificazione (gli enti cambiano continuamente nome e quelli che erano Titani o Giganti diventano Dei o viceversa, così come X/K/Chronos) (1), dimora (si tratta dei famosi “topoi” – che giungono fino a Heidegger, le sue dimore e i suoi sentieri interrotti -, configurati in astratto ma in concreto occupati sia dagli “uni” che dagli “altri”).
E allora valga, a titolo di esempio, il fatto che i miti siano stati e siano, sin dall’origine, dualistici e abbiano avuto diffusione e propagazione in e da: Europa orientale, Asia centrale e settentrionale, India, Sudest asiatico, America settentrionale (cfr. G. de Santillana-H. von Dechend, Il mulino di Amleto). La loro rappresentazione passata, presente e futura, che segue l’ordine prestabilito del tempo “eterno” di Aion, è tutta in-sita nella struttura arcaica cosmografica, il Cerchio Massimo che comprende, in estrema sintesi: un “sopra” e “sotto”, due assi (l’equatore della terra e l’eclittica del sole, che s’incrociano e rappresentano due coluri a forma di “X”; da cui probabilmente l’importanza semantica di un antichissimo simbolo), una terra quadrangolare (sede del regno degli uomini, che ha come confini i punti equinoziali e solstiziali sulle due linee di demarcazione dei due regni dell’aldilà, siti in alto e in basso, denominate tropici). Lo schema è semplice: non è possibile che l’Uno – ciò che Platone chiama Il Medesimo – è e sia senza l’Altro …
Ed è su questo punto esatto che nasce l’“errore” in qualche modo legato a ciò che resta comunque un modello, uno schema, un’ipotesi, una teoria, la Teoria della Precessione, e quindi un’ipotesi legata alla nostra condizione di uomini.
E cioè “il fatto che” – dice Plutarco (De Iside et Osiride, 370 F) – “Platone, nelle Leggi (896 d sgg.), allorché era già molto avanti negli anni, si espresse non più per enigmi e per simboli (n.d.r.: causa, evidentemente, dell’errore di cui qui si discute), ma concretamente, con termini veri e precisi, affermando che il mondo non è mosso in virtù di una sola anima, ma, probabilmente, a opera di più anime e, in tutti i casi, da non meno di due: delle quali una è quella che produce il bene, e l’altra, antagonista della prima, è artefice di tutto ciò che è contrario”.
Ma dove dimora questa anima – o meglio forza o potenza – che genera il bene e dove l’altra che genera “tutto ciò che (n.d.r.: necessariamente) è contrario”? Sul punto, il Grande Pan non saprebbe “chi” e “dove” scegliere, rappresentando che il Fuoco eterno, che anima il cosmo, può nascere e nasce sia da “sotto” che da “sopra”. E, come dicono gli stessi Autori (G. de Santillana-H. von Dechend): “La Galassia era ed è tuttora la fascia che collega il Nord e il Sud, il <sopra> e il <sotto>” (Ibidem).
Così come l’Est e l’Ovest. Salvo che l’Uno abbia intenzione di sottomettere l’Altro. O viceversa. Imponendo il proprio asse, albero, remo-timone, remo-bastone, scettro, verga, pietra di fondazione, etc. in contrasto con gli stessi elementi dell’Altro. Ma: ritorniamo per ora alla storia della morte di Pan, così come narrata da Plutarco nel De defectu oraculorum (17, 419 B-E). Oltre al fatto della morte del dio, sette sono gli elementi che più catturano la mia attenzione, ovvero la presenza di: a) una nave b) un pilota egizio di nome Tamo c) la direzione originaria del viaggio d) l’azione contraria del vento e) la voce che giunge dall’isola greca di Paxo f) la meta di Palode g) l’interesse di Tiberio per la vicenda.
La nave rappresenta l’intera struttura del cosmo. E’ la stessa “nave da carico”, il quinto elemento, che trasporta continuamente i quattro elementi di cui si compone l’intero Essere. Tamo è uno di quei tanti nomi, a cui accennavamo, di dei o sovrani che governano a turno il Tempo e sono quindi anche signori dello Spazio. In questo caso, un dio che proviene dall’Egitto. La nave è diretta in Italia, ma giunta in Grecia, è dirottata dal vento presso l’isola di Paxo. Qui, una voce, ignota, annuncia la nuova (vecchia) destinazione di Palode. Direi (?!) che siamo così ritornati in India … Quanto a Tiberio, mi colpisce il fatto che – a differenza di Ottaviano l’Augusto Imperatore (!) – egli non abbia gradito la propria consacrazione in vita, l’elezione a Santo, a Nuovo e Unico Dio di tutto il Celeste Impero, secondo quanto fissato dall’augusto Predecessore.
L’Augusto, come la più luminosa stella – Sirio -, aveva occupato la sede celeste dell’intero cosmo (divenuto volgarmente l’Impero). Il processo di catasterizzazione richiedeva pertanto un necessario e corrispondente sacrificio – e nessuno migliore di Pan avrebbe potuto essere sacrificato -; ma a dimostrazione, purtuttavia, che la Galassia non poteva fare a meno né dell’Uno (Sirio) né dell’Altro (Pan).
Una vicenda lontanissima, che ricorda molto da vicino anche ciò che è accaduto più di recente in Afghanistan.

Note:

Non ci sfugge il fatto che le indistruttibili leggi della filologia non permettono l’identificazione di Kronos con Chronos (n.d.r.: figuriamoci di Kronos, ancor prima, con Xronos!), sebbene in Grecia questa fosse <consueta in ogni tempo> (Pohlenz, in RE, vol. XI, col. 1986) … (G. de Santillana-H. von Dechend, Il mulino di Amleto, cap. VIII, nota n. 2).

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