Pro-vax, no-vax, green-pass, Stato

Vax, no-vax, green-pass, Stato

Pro-vax, no-vax, green-pass, Stato

Vax, no-vax, green-pass, Stato

Green-pass, mixed media on canvas 30 x 41 cm. by Mary Blindflowers©

 

Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Pro-vax, no-vax, green-pass, Stato

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La civiltà dell’immagine e dei social vive il paradosso della scarsa importanza attribuita all’immagine stessa che diventa accessoria del nome o viene utilizzata ad hoc per veicolare la fondamentale importanza del nome stesso, ma l’immagine di per sé, qualitativamente parlando, non viene degnata della minima attenzione mediatica. Se una foto o un qualsiasi lavoro di arte visuale non ha il sigillo ispirato dall’alto di un nome celebre, viene perlopiù ignorata perché la valutazione della massa o della piazza si appunta solo e soltanto sul nome che diventa garanzia di bellezza, di autenticità, di bravura, di professionalità se non addirittura di genialità e quant’altro. Si assiste alla spersonalizzazione del soggetto che esce fuori da se stesso nella valutazione di un oggetto o una immagine esterna e prima di esprimersi, usa sempre il filtro riconosciuto dall’ufficialità, perché di per sé il soggetto arriva alla conclusione di non poter dire né esprimere né avere un pensiero critico su nulla.
Con l’abolizione della critica, sempre vista sotto un alone di negatività, come se fosse un reato penale, si aboliscono i pensieri. Il sistema lavora molto bene. Chi critica viene tacciato di invidia dagli emissari del pensiero allineato. Ormai avere un pensiero proprio è sinonimo di invidia o di cattiva vita, di chissà quali frustrazioni represse e compresse, di cattiva digestione del mondo per inarrivabilità del traguardo, etc. etc.
Siccome l’invidia tradizionalmente è un peccato suscettibile di disprezzo, nessuno vuole più correre il rischio di essere scambiato pubblicamente per un povero invidioso, dunque tace.
Il silenzio diventa propedeutico alla seconda operazione che è quella del bombardamento mediatico di immagini di volti noti che diventano vita quotidiana, come il gatto di casa o la poltrona del salotto dove si vede la tv. C’è una sorta di introiezione dell’oggetto esterno noto che, scagliato ad incredibile velocità dentro la mente tramite un’operazione di continua, ininterrotta e costante iterazione, diventa, parte integrante e quasi scontata del mondo di ciascun utente medio. Si creano nel cervello dei riflessi condizionati per cui la visualizzazione di ciò che è ormai diventato familiare, diventa incredibilmente confortante, mentre lo sperimentalismo della novità, viene percepito come stranezza, minaccia, caos. Si crea così una dicotomia mentalmente pericolosa tra nome-immagine familiare e non nome-immagine non familiare, che viene giocata indubitabilmente sempre a favore della prima coppia di termini, mai della seconda.
Quindi il sistema sfrutta questa sorta di imprinting che ciascun individuo possiede per orientare gli umori della folla in una direzione piuttosto che in un’altra, generando spesso confusione e dicotomie inesistenti nella realtà. Per esempio, anche la contrapposizione vax no-vax è vissuta come scontata e normale. La stampa non prende in considerazione nemmeno una variabile a questo assurdo incasellamento, perché dà per scontato che l’essere umano debba essere ingabbiato dentro schemi da criceti rimpinzati di informazioni volutamente contraddittorie, in modo che meno gente possibile possa capire di cosa esattamente si parli, e vengono sciorinate sicurezze in un mondo che di sicuro non ha nulla, per cui schierarsi da una parte o dall’altra, diventa operazione senza senso alcuno specie se si vive lo schieramento come incitamento degli altri a seguire il proprio esempio.
Come si possono dare indicazioni in un senso o nell’altro, quando nemmeno i medici e i virologi sono d’accordo tra loro? Che preparazione ha un individuo che non ha mai studiato medicina e che secondo le indicazioni dei partiti, invita gli altri a vaccinarsi oppure a non farlo assolutamente? La scelta individuale, mediata dalla coscienza, è un fatto storico inalienabile, ma si possono spingere gli altri a fare ciò che noi abbiamo scelto, senza oggettive certezze?
Diversa la faccenda del green pass. Uno Stato che non ti obbliga a fare il vaccino perché se ti obbligasse e ti facesse male, ti dovrebbe pagare, può costringerti ad avere un passaporto verde per entrare nei ristoranti, al cinema, nei bar, nei concerti, per lavorare, etc.? A scuola se non sei vaccinato e non hai il green pass non puoi nemmeno entrare per lavorare. Lo stesso sta accadendo per l’Università.
Secondo l’Italia il green pass è legittimo, quindi obbligatorio, una forma indiretta di obbligo al vaccino non obbligatorio in teoria, ma obbligatorio in pratica. Si tratta di una forma di deresponsabilizzazione dello Stato che ti obbliga non obbligandoti. È una moderna filosofia che limita la libertà di autodeterminazione del soggetto il quale viene posto sotto ricatto o ti fai il vaccino e quindi ottieni il green pass, oppure non lavori, non vivi più come prima. Ora sei libero, decidi senza decidere perché io Stato, ho già deciso tutto per te, ma facciamo finta che non sia così.
Siamo in altre parole in una logica ben oltre la teoria orwelliana: le possibilità di manipolazione psicologica dello stato totalitario sono il nucleo fondante di 1984 il famoso romanzo di Orwell. L’autorità dell’Oceania è programmaticamente orientata ad imporre un linguaggio inadatto all’espressione delle potenzialità critiche del pensiero per assuefare i cervelli a esser sudditi per le contraddizioni logiche tipiche della propaganda politica del Grande Fratello, imbinariando l’emotività del singolo nel percorso utilizzabile per la riproduzione dell’ordine sociale. Oggi anche quelli che non sembrano Stati totalitari agiscono in questa precisissima direzione: siamo alla devitalizzazione del pensiero critico. Ricordiamo che krino, verbo su cui si fonda la parola critica, significa “scegliere”, “distinguere”, verbo di chiara pertinenza magistratuale . Oggi l’individuo non deve più scegliere, ma adeguarsi, in poche parole siamo ridotti all’ubbidienza.

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Rivista Il Destrutturalismo

 

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