Moda, filosofia, subnullismo, passato

Moda, filosofia,subnullismo, passato

Moda, filosofia, subnullismo, passato

Moda, filosofia,subnullismo, passato

La trappola, credit Mary Blindflowers©

 

Angelo Giubileo & Mary Blindflowers©

Moda, filosofia, subnullismo, passato

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La storia, di sempre, inizia con la Notte e il Giorno. Un qualcosa di visibile all’occhio di Horus, l’occhio – altresì perduto – dei sensi e della mente, un fenomeno che si ripete con regolarità dall’inizio, giorno o notte che sia. E fintantoché lo sarà ancora. Un fenomeno, dunque, che nel corso della nostra storia plurimillenaria ha assunto innumerevoli significati metamorfici e simbolici, pur restando sempre uguale a se stesso. Pur restando, ancora qui, a discutere se sia nato prima l’uovo o la gallina. Un modo semplice per dire che forse non lo sapremo mai, ma soprattutto un modo per ribadire un principio, che è quello di causalità, mediante il quale, secondo il comune buon senso e il subnullismo, leggiamo il fenomeno stesso e quindi ogni evento, quale che sia.
La realtà è che, data la nostra insignificanza cosmica, concetto spesso lasciato nel dimenticatoio, non sappiamo praticamente nulla, né in linea di massima e neppure, a volte, di minima, perché l’osservazione del fenomeno non è sufficiente a spiegare il mondo.
Proiettati dentro un pianeta che a sua volta fa parte di un sistema solare, a sua volta facente parte di un universo pieno di innumerevoli altri sistemi, ci rapportiamo soltanto al dato esperienziale a cui la filosofia ha dato il necessario tocco metafisico per la comprensione dei dati sia esperienziabili sia non esperienziabili.
Pensiamo di essere progrediti e di poter fare a meno del passato. C’è chi sostiene, per esempio, che è più utile una seduta odontoiatrica del Taoismo e della filosofia di Epicuro, giudicato oramai inservibile: “La triste realtà è che le teorie fisiche di Epicuro, immortalate nei versi di Lucrezio, non ci servono a nulla. E se un angelo sterminatore ci costringesse a scegliere su due piedi tra il Taoismo e le anestesie dentarie, alla fine sceglieremmo le seconde quasi all’unanimità”. (Emanuele Trevi, nell’articolo Verso l’Expo: innovazione. La scienza, la tecnologia (e l’arte): i nostri codici di costruzione del futuro, Corriere della sera, 20 agosto 2021).
Agli antichi abitanti egizi dell’ovest non interessava se a nascere fosse stata e fosse prima la notte o viceversa il giorno. Così come, sempre anticamente, allo stesso modo vivevano gli abitanti dell’est. Al loro sistema di vita, che qualcuno oggi direbbe privo di adeguate conoscenze scientifiche, non interessava il verso iniziale del moto degli astri… E infatti è Marduk stesso a dire a Erra “che mutò la loro posizione (degli astri) e io non li ricondussi indietro”. Noi oggi viviamo – secondo il comune buon senso e il subnullismo – in un’era che altro non è che una breve parentesi della storia, sia detto subitaneamente senza timore e senza inganno, che risale alle “sorti” annunciate “magnifiche e progressive” all’alba di due rivoluzioni, l’una scientifica l’altra culturale, corrispondentemente inglese e francese, ma rivelatesi al calar delle prime ombre del vespero: infauste e ingloriose. Il Poeta, Leopardi, conosceva bene gli antichi, senz’altro meglio e più dei moderni; ma, riguardo a questi ultimi, abbastanza da definirli, saggiamente, “superbi e sciocchi” (La Ginestra).
La superbia di sentirsi superiori a qualsiasi passato, tanto da voler rinunciare all’insegnamento dei classici, depurati, immeschiniti spesso in traduzioni edulcorate o fantasiose non letterali, censurati nella loro essenza politicamente scorretta, ritenuti superati, superflui dalla mentalità di un uomo contemporaneo che si sente superiore. L’Homo Sapiens Sapiens divenuto trino e unto nella sua magnificenza è entrato nei gangli della mentalità contemporanea, come se il passato fosse un ostacolo al presente, una ruggine da estirpare perché potrebbe rovinare i precari ingranaggi dell’orologio che ci siamo costruiti e dentro cui abitiamo, pestando i pugni sui vetri e sedendo sulle lancette in vista di veder tutto, quel tutto che nemmeno esiste, vincolato ad una sorte tuttavia incomprensibile.
Lo storico della scienza Giorgio de Santillana ha scritto che “l’idea del Fato prende forma quando l’uomo non subisce come le bestie, ma cerca di rendersi conto e non accetta il dono d’origine, le grand don de ne rien comprendre à notre sort”. In questa chiosa, le glosse sono due: la prima, riguarda il modo di vivere degli uomini in confronto alle bestie, un modo di vivere che crede di non-accettare il dono d’origine; la seconda, riguarda lo stesso dono d’origine secondo cui niente comprendiamo riguardo al nostro umano destino. Per l’appunto, di uomini.
Superbi e sciocchi continuano a fare appello a un nostro modo sbagliato di vivere, secondo il quale i dettami della cultura non si uniformerebbero, in buona sostanza, (si sente tanfo di aristotelismo), ai dettami della scienza moderna. Eppure, il lor maestro, ebbe a dire che: “mentre probabilmente ciascun’arte e ciascuna scienza sono state più volte sviluppate fin dove era possibile per poi perire di nuovo”, l’antica sapienza, la conoscenza del gran dono d’origine restava immutata.
Pur se la posizione degli astri era di fatto già mutata, se – come dice sempre Marduk a Erra – “il diluvio (irruppe), allora si scardinò il giudizio della Terra e del Cielo … Gli dei che tremavano”. Dall’antichità alla modernità, da un fato all’altro, così come dal giorno alla notte e viceversa. Stirpi divine erano entrate in guerra tra loro, i Deva e gli Asura, intere schiere di angeli ribelli… Il primo astro che annunciava a tutti la luce dell’alba, il divin Lucifero, veniva defraudato del suo scettro e precipitato giù nell’Ade, dapprima caliginoso diventato quindi tenebroso. Già storia vecchia, occorsa a molti, e in particolare allo stesso Kronos detronizzato dal figlio Zeus.
E quindi: il segno della Modernità indicherebbe un passato che non dovrebbe più esserci. Un tempo nuovo che, sconfitto il vecchio, annuncia il proprio trionfo definitivo su un destino viceversa avverso e quindi malevolo; e invece, un destino che è il nostro stesso destino di uomini legato indissolubilmente al grande dono di non capirlo e di non poterlo capire affatto.
Sempre il Poeta, Leopardi, chiedendo alla Moda, ripeterebbe alla Morte: “Tu mostri di non conoscere la potenza della Moda”. E la Morte, a sua volta, ribadirebbe: “Ben bene: di cotesto saremo a tempo a discorrere quando sarà venuta l’usanza che non si muoia. Ma in questo mezzo io vorrei che tu da buona sorella, m’aiutassi a ottenere il contrario più facilmente e più presto che non ho fatto finora” (Dialogo della Moda e della Morte). Tu, o Moda, che sei superba e sciocca!

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