Alphonse Allais, Racconti idioti

Alphonse Allais, Racconti idioti

Alphonse Allais, Racconti idioti

Alphonse Allais, Racconti idioti

Alphonse Allais, Racconti idioti, Formiggini, 1930, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Alphonse Allais, Racconti idioti

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Cari sparuti non-lettori, lettori per caso, per finta, per naso, per occasione, per celia, per sbaglio, per noia e per distrazione, non è vero che voi celebrate poeti morti e tesserati che hanno battuto quel che Allais definiva “il record del millimetro”, mentre i vivi vi sfilano davanti come comparse in attesa di morire e di diventare primi attori, previa conversione perlomeno ad un partito o ad una religione, almeno da moribondi, sotterfugio molto furbo per evitare la damnatio memoriae?

 Allais? Quale Allais? Allais chi? Di che parla? Ma che dice? direte voi…

Allais Alfonso, o meglio Alphonse, lo conoscete? Eh no che non lo conoscete. È quello che Wikipedia, l’enciclopedia della pseudo-cultura impanata e fritta per i polli, definisce “un uomo dallo humour acido”, insomma tradotto uno che diceva la verità attraverso storie assurde e incomprensibili solo per i corti di cervello.
La ragione per cui Allais in Italia è poco conosciuto, è che non è innocuo come gli scrittori che vanno tanto di moda adesso e non trastulla il lettore con sciape storielline amorose che tanto piacciono agli abitanti dello stivale sempre eternamente innamorato di tutto, principalmente di se stesso. Eppure i Racconti idioti di Allais, che ho letto nell’edizione di Angelo Fortunato Formiggini, uno di quegli editori d’altri tempi che badavano al contenuto mentre il mondo cominciava già ad interessarsi della sola forma che pure egli non trascurò nelle sue meravigliose vesti editoriali, sono tutto tranne che idioti. L’edizione in oggetto è datata 1930, è illustrata da Bruno Angolella, tradotta da Enrico Piceni, che tra l’altro, si lancia in una prefazione surreale, evitando volutamente e devo dire anche felicemente le notazioni biografiche sulla vita di Allais, “notazioni che si possono trovare nel Larousse o in qualunque Manuale di storia della letteratura francese”.
Leggere Allais è come fare un bagno in una surrealtà intelligente e sopraffina che dietro l’apparente non-sense delle storie, nasconde il sorriso ironico di chi ha compreso che le contraddizioni insanabili della vita, possono essere stemperate in una risata e in una parodia demitizzante e della borghesia e della aristocrazia e della religione e del comune buon senso e di tutti i miti costruiti da una società bigotta e fossilizzata in posizioni antiquate ma ufficialmente ufficiose.
I Racconti idioti sono dunque godibilissimi ma soltanto per chi idiota non è. È chiaro che vanno compresi, che va gustata la loro sana e rivoluzionaria filosofia di fondo, forse un poco scomoda in quel suo umorismo sottile che di acido, in barba a quanto dicono certe enciclopedie della domenica delle Chiese infilate nel deretano del sistema, non ha nulla ma allunga uno sguardo impietoso su personaggi e situazioni comuni della vita quotidiana deformata in supposizioni, invenzioni, sillogismi e umori completamente assurdi.
Allais ha una parola buona per tutti, per gli albergatori esosi, per i pettegoli, per i presunti grandi uomini decisi dalla convenzione e dall’utilità del momento, per la miracolistica, per i letterati, per gli arrivisti, per i ricchi che sfruttano i poveri, e lo fa con un’arma che non tutti sono in grado di capire, l’ironia. Indimenticabile nel racconto Una curiosa industria fisiologica, la metafora della pelle dei piedi dei poveri, utile per confezionare sandali in pelle di povero per soli ricchi che hanno paura di rovinarsi i piedi camminando scalzi ma non vogliono rinunciare al piacere di procedere senza scarpe.

La piccola Guglielmina, giovane regina d’Olanda, va a passare un mese nell’isola di Walcheren. In quel paese i ragazzi poveri vanno in giro scalzi. Guglielmina ha desiderio di correre sulle dune a piedi nudi, come fanno i poveri. Ottenuto il permesso dalla nuova istitutrice, si rende conto di non riuscire ad andare troppo lontano a piedi nudi, a causa della delicatezza della sua pelle. Un cortigiano allora decide di aiutare Guglielmina a camminare esattamente come fanno i poveri. Sceglie tra i ragazzi del paese, una ragazzina che ha il piede della stessa misura di Guglielmina, l’installa in casa propria, fa chiamare un celebre chirurgo e le fa levare la pelle, così ottiene due sandali in pelle da dare alla regina che può calzarli sopra i suoi piedi. Nasce in questo modo la moda dei sandali in pelle di povero, metafora pregnante dello sfruttamento della borghesia e della nobiltà verso le classi meno abbienti:

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Nonostante la lentezza attribuita al temperamento olandese, la moda dei sandali in pelle di povero si diffuse rapidamente, presso la nobiltà prima, presso la ricca borghesia poi, tanto da dare origine ad una industria floridissima.
La manifattura da me visitata nei dintorni dell’Aja si compone di due caseggiati distinti. Il primo somiglia a una specie d’ospedale. È là che si leva la pelle dei piedi ai poveri. Tutti i poveri decisi a subir l’operazione vi sono ricevuti senza distinzione di nazionalità, di sesso, d’età o di religione. Basta che riescano a provare che da parecchio tempo camminano a piedi nudi e che la pelle dei loro piedi possiede al tempo stesso la morbidezza e la resistenza desiderabili…

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Geniale.

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Rivista Il Destrutturalismo

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