Pareri Cavallereschi, inimicizie private

Pareri Cavallereschi, inimicizie private

Pareri Cavallereschi, inimicizie private

Pareri Cavallereschi, inimicizie private

Gessi, Pareri Cavallereschi, 1687, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Pareri Cavallereschi, inimicizie private

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Berlingiero Gessi a fine Seicento pubblicava i suoi Pareri Cavallereschi per Rappacificare Inimicizie private. Avendo reperito un’edizione del 1687 pubblicata a Bologna per Bartolomeo Recaldini e Giulio Borzaghi, quando l’autore era già passato a miglior vita, ho avuto occasione di leggerla. In un unico volume ben conservato, è contenuta la prima e la seconda parte dei Pareri nonché Lo Scettro Pacifico delle Osservazioni Cavalleresche.
I Pareri trattano diffusamente del duello per soddisfazione e dei modi consoni alla rappacificazione degli animi, stabilendo torti o ragioni sulla base di un preteso “diritto Cavalleresco” e adducendo esempi pratici di controversie scaturite da ragioni diverse e tra ceti sociali diversi. Emerge il quadro di un mondo in cui le distinzioni sociali erano la regola base del vivere, sebbene tutti sapessero, per ammissione dello stesso Gessi, che l’onore che si difendeva tramite il duello non era quello interiore dell’uomo, bensì l’esterno, in pratica la reputazione agli occhi del mondo. Discutendo di un caso di disputa tra un nobiluomo ricco e ignorante e un povero saggio, sostiene infatti che: “Il Povero saggio è da stimare più del Ricco ignorante, quanto i beni dell’animo sono da prezzarsi più dei beni di fortuna, e gl’habiti di Virtù sono propri dell’huomo, non con le ricchezze, con quelli ci accostiamo ad esser più che huomini, con quelle perlopiù diventiamo meno che huomini…”.

Tuttavia afferma anche che le bastonate erano gravissime perché si riservavano solo agli uomini vili e agli animali. Bastonare un nobile era atto che richiedeva la punizione del reo.
Le controversie tra mercanti, artigiani e simili, il cui onore, scrive Gessi, non era riposto “sull’esquisitezza, e sul valore del punto Cavalleresco” non si trattavano “con quella esatta diligenza”, con cui si maneggiavano “puntualmente quelle de’ Nobili Signori”; poiché il non nobile non poteva essere né uomo d’armi né Cavaliere.

Bastava poco all’epoca del Gessi per scatenare la smania dei duellanti. Nemmeno le donne erano esentate dalla dinamica del duello.
Gessi, in prospettiva misogina, (la misoginia all’epoca era di gran moda come topos letterario), sostiene anche che esse erano più vendicative, ambiziose e aggressive degli uomini e se non riuscivano a combattere di propria mano, demandavano ad altri la difesa del proprio onore. Sconsiglia ai cavalieri di aprire dispute o contenziosi con le donne perché dall’opporsi a loro non veniva alcuna gloria:

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Dalle Donne ancora (cred’Io) si debba avere la pace, come che essendo più iraconde, e vendicative, che gli huomini; presumono molte volte di volere sopravvanzare gli huomini stessi anco nel mostrarsi valorose, e forti, se non con la mano loro, con quella degli altri almeno. E forte l’apetito di vendetta in un sesso così debole, disse un gran Letterato; & un altro affermò, Che non vi è desiderio che non assalisca con grandissimo empito l’animo d’una Donna, la Vendetta, e l’Ambizione però se ne impossessano con maggior forza; il vendicarsi è un’affetto di passione congiunta alla fragilità humana in tutti; ma naturalmente proprio della Donna. Onde di queste ancora stimo Io si debba tentare l’animo, se vogliano, ò no, assumersi l’offesa del Padre, ò Figlio, ò Fratello, ò Marito, che alle più lontane non cred’Io possa competere giustamente l’azione dell’ingiurie, e non farà con esse, se non bene usare ogni atto, non solo di civiltà, ma di cortesia anche in abbondanza, piuttosto che in scarsezza, per non dimostrare di voler brighe con Donne, con le quali il contendere non può recare honore, e gloria alcuna ai Cavalieri.

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Gessi propone una serie di consigli su come il reo di un’offesa, per evitare il peggio, dovesse chiedere perdono, ma condanna l’uso di mandare all’offeso un foglio bianco in modo che potesse scriverci sopra le scuse che avrebbe voluto ricevere. Il foglio veniva poi rimandato al mittente per la sottoscrizione. Gessi sconsiglia categoricamente questa pratica perché in questo caso il reo si metteva completamente nelle mani dell’offeso che non sempre, dati i tempi, si dimostrava clemente.

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