Traiano Boccalini, potere, ipocrisia

Traiano Boccalini, potere, ipocrisia

Traiano Boccalini, potere, ipocrisia

Traiano Boccalini, potere, ipocrisia

Traiano Boccalini, De Ragguagli del Parnaso, 1614, credit Antiche Curiosità©

 

 

Mary Blindflowers©

Traiano Boccalini, potere, ipocrisia

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Traiano Boccalini nei Ragguagli XLI e LIII (Centuria II), si occupa felicemente del problema dell’ipocrisia.
In XLI i censori del Parnaso hanno pubblicato un editto contro gli ipocriti, tuttavia, seguendo il ragionamento logico di Platone, decidono di moderarlo. Il ragionamento di Platone, considerato da tutti esempio di schiettezza, è semplice. Egli si presenta in persona al Tribunale dei Censori del Parnaso e sostiene che anche gli uomini buoni sono costretti dai tempi a sostentare la loro reputazione con l’ipocrisia perché gli schietti, gli animi liberi, gli ingegni aperti, nemici della doppiezza, non vengono più tenuti in alcun conto né stimati da nessuno. Quindi occorre moderare l’editto anti-ipocriti.
Il consiglio di Platone viene accolto come buono dai censori parnasiani i quali fanno subito un nuovo editto in cui viene consentito agli abitanti del Parnaso di far uso dell’ottantesima parte di un grano di ipocrisia.
I risultati di tale risoluzione sono ripresi nel Ragguaglio LIII in cui si dice che quell’ottantesima parte di ipocrisia, concessa grazie all’intervento di Platone, in pochi giorni ha ammorbato tutti i costumi del Parnaso, dato che l’ipocrisia è come una malattia molto contagiosa:

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… quella ottantesima parte nondimeno di un grano di Hippocrisia, che pigliarono fu sufficiente per ammorbare in pochi giorni tutti i sinceri e schietti costumi loro; perché così fattamente si innamorarono del credito e s’inebriarono della riputazione che quella apparente modestia, quella finta divozione, quella simulata carità arrecava loro che in anima e in corpo si diedero in preda à quell’horrendo vitio che poco prima tanto detestavano e il tutto con tanto disordine delle cose di quello Stato, che in pochi giorni Parnaso tutto si era impocrisito.

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Apollo, resosi conto della grave situazione venutasi a creare, decide quindi di intervenire per estirpare dallo Stato la mala pianta dell’ipocrisia fin dalla radice, e siccome i cancri e le pustole hanno bisogno di essere curate, sostiene, col fuoco e coi rasoi, compila un editto di straordinario rigore che impone nell’arco di tre giorni la totale rinuncia all’ottantesimo grano di ipocrisia precedentemente concesso. Chiunque si renda colpevole di ipocrisia, viene dichiarato nemico di ogni virtù, indegno di fama e infame, considerato alla stregua di un membro putrido della società, perciò soggetto ad essere vituperato ed infamato, perfino lapidato e picchiato coi bastoni. Parlare di carità senza mai fare elemosina; far finta di essere poveri e invece possedere buone entrate e vivere in casa deliziosamente e fra gli agi; essere avari e ostentare una devozione angelica; biasimare con voce sommessa i vizi pubblici e in segreto sparlare dei privati; essere superbi e predicare umiltà, sono solo alcuni esempi di evidente ipocrisia.
Boccalini sostiene che le città sono piene zeppe di ipocriti perché i Principi, anziché condannare l’insano vizio dell’ipocrisia, lo coltivano, premiando il doppio gioco e la cortigianeria, accarezzando, arricchendo ed esaltando gli ipocriti:

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Gl’Hippocriti erano certa razza di huomini che sempre si sbandivano, e sempre di esse si vedevano piene le cittadi, non già perché à Prencipi mancasse l’auttorità di sterminarli da gli Stati loro, ma perché i medesimi Principi che li proibivano, li accarezzavano, e che la vera terriaca, l’unica ricetta per medicar la peste dell’Hippocrisia, era che i Principi quei soli soggetti ambitiosi di gloria, sitibondi di ricchezze, avidi della buona gratia loro, amassero, accarezzassero, arricchissero e esaltassero, che col saldo merito della vera virtù affettavano le dignitadi, le ricchezze, la buona gratia de’ Superiori, e che quegli Hippocritoni che col manto di una santa humiltà, con artificio grande ricoprivano una diabolica superbia, col velo della povertà una inestinguibile sete dell’oro…

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Una radiografia precisa del potere che ovviamente della schiettezza non sapeva e non sa che farsene.

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