Traiano Boccalini, Ragguaglio VIII

Traiano Boccalini, Ragguaglio VIII

Traiano Boccalini, Ragguaglio VIII

Traiano Boccalini, Ragguaglio VIII

Traiano Boccalini, De Ragguagli del Parnaso, 1614, credit Antiche Curiosità©

 

 

Mary Blindflowers©

Traiano Boccalini, Ragguaglio VIII, cenni

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Il Ragguaglio VIII contenuto nell’opera di Traiano Boccalini, De’ Ragguagli di Parnaso, narra la disputa tra il Principe di Bisignano e il Dottor Giuliano Corbelli da San Marino, per questioni di precedenza. Essendo nata una grave controversia tra i due, Corbelli si affida ad Apollo il quale passa la causa alla Congregazione dei riti del Parnaso da cui viene deciso il da farsi.
La pretesa di precedenza del dottore viene disprezzata dai baroni napoletani, i quali danno per scontato che la precedenza debba averla un nobile e nella fattispecie il Principe di Bisignano il quale disdegna perfino di presentarsi davanti alla Congregazione, in quanto ritiene la ragione palesemente e senza discussioni, dalla sua parte:

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Il Corbelli nondimeno punto non si perdette d’animo, ma havendo fatto ricorso ad Apollo, sua Maestà commise la causa alla Congregation de’ Riti di Parnaso, avanti la quale il Prencipe sdegnava di presentarsi, acerbamente dolendosi di esser per una causa tanto chiara per lui forzato di comparir in giuditio contro un huomo nato in patria così vile, che altra gente non produceva che Porcari, essendo egli così illustre Baron Napolitano…

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Il barone dà dunque per scontato di aver ragione, essendo di illustre e nobile schiatta.
Ma per evitare la contumacia, è comunque costretto a produrre ai Signori della Congregazione parnasiana, scritti che giustifichino le sue ragioni, esattamente come il dottore, suo antagonista. La Congregazione, avendo analizzato entrambi gli scritti con imparzialità, sentenzia a favore del Dottore “il quale, essendo nato in Patria libera… meritava di esser paragonato ai Re, nonché anteposto à i Baroni Napolitani”. Infatti nel Parnaso, il titolo di Principe può essere a buon ragione dato soltanto a chi non ubbidisce ai re e non a colui che comanda a dei vassalli sotto “l’altrui Signoria”. Quindi, “Principe, Duca e Marchese” per il Parnaso, non sono titoli veramente sostanziali, ma “certa falsa Alchimia”, che molto somiglia a “quegli occhi di vetro, che i guerci portano” per nascondere “la bruttezza della faccia”.

Il Parnaso, dopo aver demistificato e felicemente parodizzato i titoli nobiliari, attacca direttamente la nobiltà del sangue:

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Che quanto poi alla Nobiltà del sangue, sopra la quale il Prencipe nato della nobilissima Famiglia de’ Sanseverini, fondava la maggior parte delle sue pretenzioni, dissero, che la Congregazione non vi aveva fatta reflessione alcuna, stante la chiara fede degli Anatomisti dalla parte contraria prodotta in giudicio, nella quale concludentemente vedendosi provato, che le ossa, i nervi, la carne, e le budelle delle persone, tutte erano fatte ad un modo, chiaramente mostrava che la vera nobiltà degli huomini stava posta nel cervello, non nelle vene.

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Un Boccalini modernissimo, dunque, che non tiene in alcun conto le pretese di superiorità dei nobili e stabilisce il primato della scienza e della ragione, sul concetto di nobiltà di sangue, ritenuto del tutto ininfluente ai fini della valutazione delle ragioni del soggetto.

Gli strali di Boccalini non risparmiano nemmeno gli avvocati e i pedanti, i giudici, i notai e gli “sbirri”, tutte categorie dalle mani rapaci, citate nel Ragguaglio VI e descritte come scorticatrici, avide cavatrici di denari dalle viscere del popolo.
I Ragguagli del Parnaso descrivono una utopica, auspicabile società dei diritti, veramente impensabile all’epoca del Boccalini che quindi immagina un mondo parallelo a quello reale, ma più giusto, meno classista ed esclusivista in cui l’humanitas e non la ricchezza materiale, il talento e non la prepotenza, prevalgono. Una utopia ancora oggi irrealizzata.

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