Paradisi, Pardes, poesia, inutilità

Paradisi, Pardes, poesia, inutilità

Paradisi, Pardes, poesia, inutilità

Paradisi, Pardes, poesia, inutilità

Il fossile, credit Mary Blindflowers©

 

Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Paradisi, Pardes, poesia, inutilità

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Alessandra Paradisi è una dirigente Rai prestata alla poesia. Il suo ultimo libro “Pardes” è stato pubblicizzato dalla stampa nazionale come testo che richiede addirittura non una, ma una “doppia lettura”, “simbolica” e “letterale” perché la poetessa si abbevererebbe alla fonte dell’antroponomastica, studio dei nomi propri delle persone, come deposito di “identità”. Noi in pratica esistiamo in quanto siamo nominati. Un libro che insomma è basato sulla fascinazione del nome e dell’antropocentrismo. Ci tiene, la dirigente, a ricordarci l’importanza del suo di nome in un Paese come l’italietta in cui se non hai un nome, non sei nessuno: “La mia vita, come per ognuno di noi – scrive nella postfazione al volume – è tutta nel nome: Alessandra Paradisi. Alessandra deriva dal greco Aléxandros (difensore degli uomini). Paradisi prende origini dal persiano pairidaeza per approdare al greco paradeisos e all’ebraico pardes, conservando lo stesso significato originario (giardino/recinto)”.
Quindi il titolo “Pardes” è riferito a lei.
Sgombriamo il campo dalla tassatività ed uniformità della massima NOMINA SUNT CONSEQUENTIA RERUM: Alessandro è il nome di Paride che di defensor hominum aveva ben poco, devastatore com’era dei destini del proprio popolo in ragione del famoso ratto di Elena. Alessandro il Grande pretendeva la proscinesi e nelle orge si scagliava in maniera omicida sugli amici più intimi!
Ma leggiamo:

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Resta tersa tra sera e seta

Vorrei scriverti ora
di ogni minuto
che ho tenuto stretto
di ogni sorriso
smarrito nel da farsi
di ogni parola
rimasta nel pensiero
di ogni timore
e tutte le speranze.
Ma sciupare il silenzio
non sarebbe garbato
e il tuo vestito
è così elegante.

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Disveliamo immediatamente i congegni tecnici sfruttati dalla Paradisi; se del poeta il fin è la maraviglia, la Paradisi non meraviglia nessuno con i giochini fatti di omeoteleuti incollati alle allitterazioni, gli artifici polisemici tipo ora (avverbio di tempo) e minuto (sostantivo cronologico che richiama l’analogo omologo da cui è contenuto e qui paludato dal precitato avverbio) e le pesantissime anafore (la figura retorica degli stilopenici). Ma, al di là della forma, contenutisticamente l’autrice si dovrebbe peritare di spiegarci come possa essere sciupato il suo anelito al rispetto del silenzio da una lettera all’amato (Avrei voglia di scriverti). Che cosa teme con l’avversativa in clausula? Che un rumore deturpi lo charme dell’abito di lui? Siamo colpiti da tanta profondità!

***

Fermiamoci qui;
accostiamo i pensieri
prima che trovino parole.
C’è ancora tempo
per sorprenderci altrove
inseguendo un bacio
o una risata.
Fermiamoci qui;
aspettiamo che il Cielo
sussurri un’altra storia.

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Anche qui ricorso all’anafora delle prime persone plurali dell’imperativo esortativo che si reitera in variatio semantica (accostare, aspettare) a stretto giro sotto la predetta figura retorica un pochino abusata. Contenutisticamente c’è un asfittico invito all’amato a non proseguire nel cammino (così parrebbe) perché necessita una contiguità concettuale con lui che chissà perché potrebbe essere sciupata dal dialogo, anche perché ci sarebbe abbondanza di giorni, ore, minuti per trovare in un altro posto (meno semantico dell’attuale? non è dato capire perché poi!) la meraviglia di se stessi concretizzata in un congiungersi o in un dischiudersi labiale. Immagini eteree, impalpabili, vetuste e obsolete senza alcun sostrato narrativo che generi comunicazione ed emozione a nostro avviso. Come altrettanto inspiegabile sarebbe il motivo per cui il sempiterno e abusatissimo Cielo dovrebbe bisbigliare una nuova vicenda: quale? D’amore? E tra chi? Non si comprende se la poetessa stia palando di un addio, di una riconsiderazione del sentimento, di una crisi.
Lirica sostanzialmente atona, sempliciotta nel significato sentimentale e innocuissimo. La poetessa vorrebbe scrivere ad un interlocutore molto elegante, di sorrisi e parole rimaste solo nel pensiero. Poi reitera l’ordine di fermarsi, di non sciupare il silenzio nelle parole visto che c’è ancora tempo per inseguire un bacio o una risata, aspettando un’altra storia sussurrata dal cielo. Anche qui assenza di profondità. Contenuto pari a zero. Ritmo inesistente. Fondamentalmente è la solita prosa che va a capo e che sostiene argomentazioni popolari, ma fatue.
Questi versi esprimerebbero secondo la critica, “la condizione dell’uomo contemporaneo”.
Secondo noi non esprimono alcunché anche perché sono talmente inutili che non si universalizzano affatto, ma si banalizzano nel nulla.

Ma continuiamo:

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Il principio di indeterminazione

Nessuno può
toccare il mio dolore:
se gli stai dietro
non lo puoi guardare
e se lo guardi
non sai dove cercare.
Nessuno può
toccare il mio dolore:
sprofonda negli abissi
e sale fra le stelle
viaggia per galassie
e ritorna nelle particelle.
Nessuno può
toccare il mio dolore:
deride il tempo
per enne dimensioni
e alla materia
toglie la ragione.

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Ancora le anafore, tre volte il mantra “Nessuno può toccare il mio dolore” (in realtà è inattingibile il dolore di ognuno, in quanto fenomeno tragicamente solipsistico che accomuna tutto il genere umano). Poi accorta e scaltra variatio strutturale tra due periodi ipotetici della realtà e una sequenza di terze persone singolari di presente indicativo in coordinazione tra loro con struttura prima parallela e in clausula chiastica. E addirittura il lusso di rime e assonanze, per la prima volta la poetessa cerca di ovviare con le scaltrezze formali alla estrema povertà contenutistica.
Il dolore della poetessa nessuno lo può tangere perché sale per galassie e stelle, deride il tempo e le enne dimensioni. Anche qui prosa mandata a capo, versi più che banali con concorso di elementi classici: abissi, stelle, galassie che però non vengono utilizzate in modo originale ma per rimpastare motivi già stravecchi e ridetti, mutuati dalla classicità. Ritmo sempre inesistente, poesia inesistente.

Su una cosa però la Paradisi ha ragione, per riuscire a convincere o giornali a elogiare queste inutilità occorre davvero un nome.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

Comment (1)

  1. POETA DELL'AMIATA Giancarlo Rosati

    E’ più facile vendere un nome che un libro di interesse storico, poetico, etc.

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