Nuova Sardegna, “razza pura”?

Nuova Sardegna, "razza pura"?

Nuova Sardegna, “razza pura”?

Nuova Sardegna, "razza pura"?

Pollame, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Nuova Sardegna, Unione sarda, il falso mito del più puro

.

Il Decamerone di Boccaccio insegna che con l’arte della parola si possono creare illusioni, salvarsi o perdersi, trionfare o assistere alla propria disfatta. Il motto, l’arguzia, lo scilinguagnolo sciolto, per il Certaldese, ha doppia valenza, positiva e negativa, nonché molteplici sensi perché la parola non può esaurirsi in se stessa ma crea mondi che possono essere veri o immaginari.
L’intera giornata VI del Decamerone è dedicata alla forza travolgente della parola.
“Le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre”. Così scriveva Carlo Levi.
Oscar Wilde, maestro di autoironia e non solo, sosteneva che una delle cose più divertenti per lui fosse sentirsi parlare: “Spesso sostengo lunghe conversazioni con me stesso e sono così intelligente che a volte non capisco nemmeno una parola sola di quello che dico”.
Un oggetto senza un nome non ha una definizione. La parola dunque definisce. Anche le cosmogonie assumono consistenza nel momento in cui vengono comunicate.
La comunicazione però ha reso la parola schiava. Essa è diventata un elisir da far bere alle masse per ottenere il miracolo della manipolazione del vero.
I giornalisti usano la parola per titoli ad effetto che non corrispondono quasi mai al reale contenuto del testo. Sanno, le vecchie volpi, che il 90 per cento della gente non legge l’articolo ma si ferma al titolo, quindi sfruttano la situazione semplificando, manipolando e sofisticando il pensiero altrui, attraverso titoli che dimenticano il peso delle parole, scagliate come proiettili in attesa di un effetto sui lettori.
Che nel sito de La Nuova Sardegna, un giornalista, in un articolo vergognoso del 4 maggio 2018, titoli: “Dna, l’italiano “doc” non esiste: l’unico puro è il sardo”, significa che la lezione di Levi e tanti altri, sul valore della parola, ancora ai nostri giorni non sia stata affatto recepita.
Il titolo ovviamente non corrisponde al contenuto.
Si riferisce uno studio condotto dall’antropologo David Pettener, che avrebbe dichiarato: «I sardi si differenziano da tutti gli italiani e gli europei. La Sardegna conserva le sue più antiche tracce non avendo subito invasioni e si è così differenziata dagli altri abitanti dei continenti, al pari dei baschi e dei lapponi».
Insomma l’antropologo parla di “differenziazione” genetica, non di purità della razza o di italiano doc. Inoltre, se proprio vogliamo essere precisi, dire che la Sardegna non ha subito invasioni è un falso storico, facilmente confutabile. Svenduta agli americani, martirizzata in passato da micenei, balari, corsi, punici, romani, vandali, visigoti, bizantini, pisani, genovesi, piemontesi, saraceni e spagnoli, la Sardegna è sempre stata una terra sfruttata e da sfruttare. Il giornalista però non si attiene ai fatti ma, non contento del titolone in cui parla impropriamente di purità della razza, reitera il concetto dentro l’articolo, per chi non avesse capito bene e furbescamente fa un’incursione politica, perché la politica in Italia viene infilata dappertutto: “L’italiano doc non esiste, il sardo sì. A dirlo non sono indipendentisti o linguisti, ma è uno studio dell’università di Bologna”.
Veramente lo studio dell’Università di Bologna non ha mai parlato di razze doc, o di purità, ma di differenziazione genetica del sardo che non è data da nessun merito, ma da circostanze storiche e dall’isolamento dell’Isola.
Le parole hanno un peso.
Non possono essere cambiate per rendere l’informazione più succosa, più attraente e sensazionalistica. Non si possono sofisticare le parole usate da altri per attirare le masse e farle esaltare in deliri campanilistici.
Le parole sono importanti.
Modificarle significa manipolare l’informazione.
Oltretutto parlare oggi di purezza della razza, significa non avere il senso della storia e dei suoi infelici esiti, significa ignorare del tutto il valore della memoria, innescando discorsi socialmente pericolosi e anacronistici in una società multietnica.
Un articolo corretto avrebbe dovuto parlare di differenziazione, non di purità della razza. Vogliamo tornare al nazi-fascismo?
Italiano doc, l’unico puro, sono termini che fanno venire i brividi perché la storia non è acqua.
Ve lo ricordate il Manifesto della razza del 1938? Ebbene al punto 6 scriveva:

.

6. Esiste ormai una pura “razza italiana”. Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l’Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.

.

L’Unione sarda, sempre a maggio 2018 titolava: “Italiani doc? Non esistono tranne i sardi…” Del resto in un articolo apparso su questo stesso giornale il 9 settembre del 1938 si può tranquillamente leggere: “I sardi sono un gruppo purissimo di razza italiana“. L’articolo avallava le idee razziste  del sardo Lino Businco, accademico che aveva cercato di dare forza scientifica alle tesi razziste che vedevano i sardi appartenere al ceppo italico e ariano.

Gli articoli contemporanei sulla purità della razza sarda, vengono continuamente riproposti sui social da gente che si dichiara orgogliosa del proprio DNA. Ma possibile che oggi ci sia ancora gente che veicola sulla carta stampata e a gran voce il falso, falsissimo mito della purezza della razza che poi rimbalza nel 2021 sui social?
Che razza di giornalismo è mai questo?

Dalla purezza al razzismo, il salto è molto più breve di quanto si pensi.

.

Video – The Black Star of Mu

DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Rivista Il Destrutturalismo

Christ was a female

 

Comment (1)

  1. Angelo Giubileo

    L’articolo coglie perfettamente il senso più profondo del fondamento della tradizione che risale alla concezione del tempo “mitico”. Nel corso di diversi millenni – secondo lo storico della scienza Giorgio de Santillana, a partire dal Neolitico – l’uomo ha concepito l’essere essenzialmente in base alla concezione del tempo.
    Ma: è la prima idea del tempo “arcaico” (Aion) a conservare in sé e per sé, intatta, tutta la “potenza” necessaria o, alla maniera di Parmenide, tutta la potenza possibile che è e non è possibile che non sia. Aion è “Il Medesimo” di Platone. Aion è l’”eterno” o “l’eternità che (in quanto tale) esclude il moto” (G. de Santillana).
    Ma: formalmente, e cioè secondo quella “forma” che si oppone alla “sostanza” del nuovo canone aristotelico, Aion è l’universo stesso, che quindi appare come ed è, come dice sempre Platone: “immagine mobile dell’eternità”. A conferma di ciò, de Santillana scrive: “Egli (Platone) aveva ereditato l’idea che la realtà, o meglio l’Essere, era definita soprattutto in termini di Tempo. Era lo spazio a introdurre la confusione, la molteplicità, la resistenza all’Ordine: quello che Platone chiamava l’Indisciplinato e l’Irregolare che resistono sempre alla mente”.

    Aion sembra quindi lasciare spazio, e non è affatto una metafora, a Xronos o Kronos o Chronos. È l’inizio del tempo “mitico”, la cui idea deriva dalla separazione originaria e originale del tempo arcaico in tempo “lineare” e tempo “ciclico” (dell'”eterno ritorno”). Concezione che tuttavia rinvia, in prima e ultima istanza, all'”eternità che esclude il moto”. A tale proposito, dice ancora de Santillana: “Ma da quella vagheggiata dimora immobile, sorgente e foce dei tempi, il sovrano del mondo deve procurare le misure normative valide per la sua età – misure sempre fondate, come s’è detto, sul tempo. Non ha importanza, ripetiamo, di chi si tratti”.
    Ma: nell’ambito del tempo mitico stesso, con “la morte del grande Pan”, prevale la concezione del tempo “salvifico”, tramandata – in un modo considerato successivamente emblematico – dal popolo ebreo dell’Antico Testamento. L’evento messianico diventa un evento unico e irripetibile. Non è più questione “di chi si tratti”. È l’idea del tempo “cairologico” (Kairos), termine che nell’antica Grecia indicava il momento giusto, opportuno, supremo.
    Ma: è del tutto evidente come anche questa idea del tempo cairologico sia ed è debitrice, derivi cioè dalla concezione del tempo arcaico, eterno, Aion. Il tempo medesimo che, alla maniera heideggeriana, echeggiando Parmenide, potremmo anche dire “l’inizio di ciò che è l’inizio che è”.

Post a comment