Deledda, gastronomia, campanilismo, orrore

Deledda, gastronomia, campanilismo, orrore

Deledda, gastronomia, campanilismo, orrore

Deledda, gastronomia, campanilismo, orrore

Strade scivolose, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Deledda, gastronomia, campanilismo, orrore

.

L’esigenza di difendere l’origine, la terra che ci ha visti nascere e crescere, le sue tradizioni, la storia. Un anelito di conservazione della memoria più che legittimo. Quando questo movimento però tende alla fascinazione iperbolica e meravigliabolica del proprio Paese che diventa la Cuccagna, l’ombelico del mondo, l’unico, insostituibile Iperuranio, e i suoi abitanti, i suoi cantori letterari, i suoi musicisti, i suoi artisti, i migliori, gli impareggiabili geni indiscussi su cui non può calare nemmeno un’ombra, un piccolo dubbio, allora compare sua maestà il campanilismo, re dei buffoni e della piazza populista. Questo sovrano dell’iperbole è tronfio di pasti digeriti male, soffre di miopia congenita e vede il creato attraverso il filtro di un entusiasmo che tende a disprezzare tutto ciò che non è proprio del paese di origine di chi porta il reuccio cecato sulle spalle a passeggio.
Il campanilismo sotterra il brutto, l’impresentabile e lo scomodo sotto un tappeto di fiori finti e mostra solo una parte di verità, quella che si può far vedere senza arrossire, dunque le cose belle, piacevoli e positive. Poi il reuccio ovviamente, siccome il bello risulterebbe insufficiente, gonfia il tutto opportunamente come un pallone, esagerandone l’importanza. Siccome è orbo da entrambi gli occhi non vede le travi dentro gli occhi del proprio mondo ma le pagliuzze sulla sclera degli altri. Attinente al campanilismo è la tendenza a far derivare tutto dalla propria razza. La pseudo-archeologia spesso sostiene questo assioma. Così certi sedicenti professori sardi dicono che ogni cosa visibile e invisibile deriva da una grande civiltà sarda che le fonti greche e latine avrebbero malignamente e perversamente occultato. Ognuno tira acqua al suo mulino e lo alimenta con prove non probanti.
C’è perfino chi sostiene che il piccolo capolavoro letterario di Pirandello, Suo marito, perla della nostra letteratura, sia un “orrore” scritto per gelosia della Deledda e chiama Pirandello “misero”: “ma proprio a Pirandello e a quell’orrore del “Suo marito” ho pensato subito. Infatti, un grande che diventa così misero per pura gelosia di mestiere fa capire molto su questa faccenda” (Marina Moncelsi nella bacheca fb di Luciano Piras).
C’è chi dice che la Deledda sia stata geniale anche in gastronomia: “Tutti devono sapere quanto sei stata geniale anche in gastronomia, cara Grazia” (Giovanni Fancello, gastronomo, in Lettera a Grazia, nel blog di Luciano Piras).
Questo perché la scrittrice sarda ha trascritto ricette tradizionali sarde.
Esistono poi sfilze di libri senza infamia e senza lode sulla Deledda cuoca che avrebbe avuto le mani odorose di cipolla durante i baciamani, donna sempre attenta alle ricette tradizionali, genio incompreso della cultura gastronomica sarda.
Inoltre, secondo Fancello, la Deledda sarebbe stata persona “rivoluzionaria” perché avrebbe parlato fin dalla fine dell’Ottocento del formaggio di pecora e dei sanguinacci: “Sei stata inconsapevolmente una rivoluzionaria, perché già nel 1890 scrivevi: mugnere le pecore, di fare il formaggio e la ricotta e il latte coagulato… dell’arrosto e del sanguinaccio cotto fra le ceneri calde, e trascrivevi ricette precise su come fare s’orzatu, sas catas, su farre, e s’aranzada”.
La rivoluzione e il genio consisterebbero nella riscrittura di ricette. Il genio presuppone creazione, senza creazione non c’è infatti arte. “Ma in gastronomia”, sentenzia Fancello, “nessuno ha inventato nulla”. Sarebbe come dire che la maionese si è inventata da sola! O che i calamari ripieni si sono autoimbottiti  per poi correre al forno da soli senza che nessuno abbia pensato di prepararli per primo in quel modo. Definire geniale la Deledda per “Canne al vento”, ci sta, ma per aver trascritto delle ricette già sperimentate, forse è un po’ troppo.
Così di volta in volta in volta questa povera Deledda diventa un genio in tutto e ognuno interpreta la sua opera a seconda di ciò che fa. Forzature letterarie. Vedere in un testo ciò che il lettore vuole e non altro. Del resto non fanno così anche i critici universitari? I cattolici non hanno negato per anni l’irreligiosità epicurea di Giovanni Boccaccio? Troppo dura da digerire la verità. Meglio adattarla alla propria campanilistica visione del mondo e della vita. Così se uno fa il gastronomo dice che la Deledda è stata un genio in gastronomia, se fa il naturalista vede nei suoi testi descrizioni che la fanno diventare un’entomologa o qualsiasi altra cosa, a seconda delle esigenze di chi legge. Aveva ragione Picasso quando adattò uno dei dipinti che descrivevano una corrida, alla situazione storica del momento, chiamandolo Guernica e dicendo a tutti che quel dipinto parlava della guerra. Carpe diem. L’arte si adatta, ognuno riesce a vedervi qualsiasi cosa. Un testo letterario però è scritto e si adatta fino ad un certo punto. Lo si può stiracchiare, violentare, interpretare soggettivamente e forzare come una cassaforte, ma resta lì a ridersi di ogni forzatura. Suo marito di Pirandello è un testo scomodo per molti perché descrive come funziona veramente il mondo letterario, ma quel testo sta lì e se ne ride del giudizio campanilistico degli orbi che non capiscono nulla di letteratura ma aprono la bocca per farci entrare le mosche della loro supponenza. Sta lì il libro pirandelliano, a ricordarci con tutta la sua potente ironia, cosa significhi saper scrivere e farlo pure molto bene. Si tratta di un ironico e geniale libro denuncia e i libri denuncia non sono mai molto graditi agli idilli campanilistici che vedono il bene dappertutto. Suo marito è una denuncia di come si arriva in alto ungendo le persone giuste e umiliandosi per la fama. La caricatura di un mondo dissoluto e in dissoluzione che fa del Santo o della Santa, in questo caso Deledda, una donna terrena con luci e ombre.
La santificazione del nome attiene ad un movimento che implica il nascondere la verità.
Ma i santi non esistono. Ogni cultura ha le sue oscurità. Definire un nome geniale in ogni campo per ogni sospiro o ogni virgola, è operazione che non rende onore alle molteplici sfaccettature della storia e ci rende anche un poco ridicoli agli occhi di chi guarda dall’esterno del piccolo mondo antico dentro cui non tutti vogliono rimanere intrappolati come cimici.

.

Video – The Black Star of Mu

DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Christ was a female

Rivista Il Destrutturalismo

 

Comment (1)

  1. Angelo Giubileo

    Non ci possono essere dubbi sul fatto che, nel corso di millenni, gli uomini abbiano preso l’abitudine di misurare il tempo in termini di spazio. E certamente l’obelisco ha costituito un esempio emblematico di ciò, testimonianza antichissima del modo con cui gli uomini hanno inteso misurare il tempo. In secoli più recenti, questa funzione è stata svolta dalle meridiane spesso erette sulla facciata principale dei campanili delle chiese, divenute il centro, i nuovi obelischi e simboli, del nuovo potere, oltre che spirituale, “temporale”. E tuttavia, ogni campanile di ogni chiesa è strumento di orientamento per ciò che accade in uno spazio in sé e per sé limitato, circoscritto all’area in cui sorge. E soprattutto, direi, allo sguardo e alla mente, ristretti, di chi giudica senza che abbia, alla maniera heideggeriana, abitato e dimorato in altri spazi. L’essere campanilista potrebbe dirsi di una piccola mente che abita un piccolo spazio.

Post a comment