Mercato dell’Arte, business, opera invisibile,

Arte, business, opera invisibile

Mercato dell’Arte, business, opera invisibile,

Arte, business, opera invisibile

Umanitudine, mixed media on canvas, by Mary Blindflowers©

Mary Blindflowers©

Arte, business, opera invisibile

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Garau vende per 15.000 euro un’opera invisibile e poi chiede: “perché vi scandalizzate?”, sapendo anche, nel suo nulla vestito di nulla, che qualcuno si sarebbe scandalizzato a gran voce come da copione, tutto previsto, tutto calcolato.
Cattelan attacca una banana al muro con del nastro adesivo. Sembra, così dicono, che qualcuno l’abbia acquistata per 120 mila dollari.
Tracey Emin presenta il suo bed, che altro non è che un letto sfatto, venduto per ben 2 milioni e mezzo di sterline al conte Christian Duerckheim.
Chi decide che il nulla di cui sono portatori costoro sia arte?
Lo decide il potere economico e il critico senza dignità che va a braccetto con il marketing, le gallerie che contano e il desiderio di fare soldi che generano altri soldi, in una catena di montaggio e promozione che ormai ha convinto tutti (o quasi) che le “porcherie”, perché di questo si tratta, che vediamo nelle gallerie oggi, siano pura arte, eh sì, perché non sarebbe quello che vedi o che non vedi a contare nell’economia particolare del mondo dell’arte contemporanea, ma, secondo gli appassionati del genere “porcheria” a tutto tondo, semplicemente la capacità di “scandalizzare”, capacità generata proprio dall’essere un nulla, uno zero, un non-lavoro, una non-esistenza, un pattume, una ciofeca schifosa, in sintesi operazioni commerciali completamente atone e prive di qualsiasi possibilità di suscitare in un individuo normalmente e individualmente pensante, alcunché, né scandalo, né emozione alcuna, nemmeno indignazione, perché si sa che ormai l’arte è un business e quindi va presa per ciò che è o meglio, nel caso di Garau, per ciò che non è.
E a dirla tutta, non mi scandalizza nemmeno che ciò che non è, proprio in termini di volgare esistenza, venga venduto a cifre esorbitanti.
Se c’è qualcuno che vuole comprare l’aria fritta, una testa puzzolente di bue dentro una teca, due pallini su una tela, un letto disfatto o un nulla certificato, perché no?
L’informazione dice che l’opera non esistente di Garau sia stata venduta da Art-Rite di Milano, con una stima iniziale di 6-9.000 euro per poi arrivare a 15.000. Cosa ha di fatto comprato l’acquirente? Un meravigliabolico e fantasticoso certificato di autenticità con un foglietto d’istruzioni, esattamente come quando si compra un frullatore (che almeno a qualcosa serve). Queste sublimità e finezze scritte, prevedono che l’opera debba essere esposta in un ambiente privato di circa 1,5 x 1,5 metri, dove non ci siano ostacoli. Eh già, è importante che il nulla sia pieno e non abbia interferenze, ci mancherebbe… Non è pieghevole si vede e non si adatta agli spazi…  Un nulla serio, mica si scherza… L’assenza delle sculture è la presenza che turba il pubblico, spiega Garau. Insomma, quella dell’artista sardo sarebbe “arte relazionale” spinta fino alle sue logiche estreme.
Cosa voglia dire “arte relazionale”, lo sa solo lui nel suo vuoto che finge di sembrare qualcosa o di non essere per fingere che sia. Sta di fatto che personalmente non sento nessun turbamento per l’assenza di ciò che non è, perché se anche fosse, in questo mondo in cui anche se si è, per esempio Hirst ha dipinto dei meravigliosi pallini colorati, si finisce col non essere nulla lo stesso.
La domanda è, può il nulla turbare?
Sì, se significa qualcosa come nei quadri di De Chirico, sicuramente può turbare, comunicare il senso angoscioso del vuoto, dell’ombra, e il mistero pieno del non essere, ma perché il fruitore vede e sente che c’è qualcosa, che l’artista comunica e che quel che manca non è una finzione ma un vuoto d’anima. Gli spazi vuoti dechirichiani, non sono una posa, non stanno sulla tela a caso, sono l’assenza che c’è, capace di comunicare attraverso se stessa un contenuto emotivo che va oltre la superficie della tela stessa e del colore.
In Garau e in Cattelan il nulla è un vuoto contenutistico completo, senza emozione slegata dai soldi, uno zero totale, sintesi dei tempi nostri in cui l’arte non esiste più se non in funzione del business, un bluff dell’anti-comunicazione che rimbalza nel finto scandalo amplificato dai giornali, in quelle finte indignazioni che operano secondo la logica un po’ demente ed evergreen del purché se ne parli…
Poi le cifre favolose fanno notizia… Queste vendite mirabolanti si vede che emozionano la gente… Tutti sognano di vendere nulla a quel prezzo, di vivere senza lavorare e guadagnare cifre simili…
Quindi, di conseguenza, tutti urlano allo scandalo o i più allineati, alla grande arte, sgranano gli occhi, si stropicciano il mento… parlano, parlano… Ma scusate, perché? Il vero problema è che non c’è nessun problema vero, scandalo zero, non c’è nulla, non c’è significato in tutto questo e cercarlo è pure da sciocchi. Sono sono soldi. Arte relazionale non significa proprio nulla. Sono paroline ad effetto, buttate a casaccio nella consapevolezza che più si chiede perché vi scandalizzate, più i media fingono di scandalizzarsi e di rimbalzo la gente apre la bocca estasiata o schifata. Così il gioco del business finto-arte, gira come una trottola e fa sempre più soldi.
Critici, gallerie, case d’asta, finti artisti, stanno semplicemente demolendo l’arte.
È questo il vero unico grande scandalo che poi non fa più nemmeno notizia perché da parecchio tempo l’arte è diventata soltanto un’operazione commerciale, quel cesso scassato di Wesselmann che De Crescenzo ha reso assai bene ne Il Mistero di Bellavista e che è stato superato nella sua materialità dalla sola idea del cesso che nemmeno c’è più.
Quindi ha “ragione” Garau, a chiedere perché vi scandalizzate se uno che non è e che fa ciò che non è, è definito artista. Vi dà esattamente quello che il business e la carta stampata richiedono, vi dà quello che volete. Il sogno di guadagnare senza far nulla. Cosa potete desiderare di più? Avete l’emozione di non avere emozioni.
Scusate, ma non lo sapevate già che il mercato dell’arte funziona così?
Che novità e che scandalo sarebbe dunque un’opera che nemmeno esiste se già da anni e anni, nemmeno l’arte esiste veramente più?

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