Decamerone di Busi, traduzione scempio

Decamerone di Busi, traduzione scempio

Decamerone di Busi, traduzione scempio

 

Decamerone di Busi, traduzione scempio

I moscerini all’acqua, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Decamerone di Busi, traduzione scempio

 

Nel lontano 1990 Aldo Busi, romanziere e personaggio televisivo ormai caduto in disgrazia per aver parlato troppo, diede alla stampe per la Rizzoli Il Decamerone, versione in italiano moderno del famoso capolavoro di Boccaccio.
Lo stile di Boccaccio è raffinato, allusivo, umoristicamente denso di senso ma soprattutto perfettamente comprensibile. Se c’è chi ancora sostiene che il volgare boccaccesco sia arduo, è perché c’è ormai una disabitudine a leggere se non contenuti elementari e privi di significato profondo, un totale decadimento culturale.
Che bisogno c’era di “tradurre” il Decamerone?
Nessuno, ma le masse chiedono la semplificazione, l’appiattimento e la banalizzazione del classico, operazioni commerciali utilissime per chi vuole vendere. Così a Boccaccio, che non solo è stato censurato impietosamente da Salviati e messo all’Indice dall’Inquisizione, la contemporaneità ha riservato questo ulteriore sfregio con la scusa accampata da Busi che l’italiano del Trecento sarebbe “una lingua totalmente straniera”, affermazione su cui si può ampiamente dissentire, dato che non c’è parte delle novelle del Boccaccio che non sia comprensibile a chiunque abbia fatto le scuole dell’obbligo. Inoltre a Busi danno fastidio le note. Non si possono leggere quelle edizioni piene di note che sarebbero “una rottura di palle”, come se non esistessero edizioni senza note. Le note sono fatte dalle edizioni critiche degli accademici, ma non è affatto necessario, per comprendere il testo, acquistare un’edizione critica perché Boccaccio è perfettamente in grado di parlare da solo al lettore contemporaneo.
“Ho tradotto il Decamerone di Boccaccio”, scrive Busi, “non ho scritto il mio. Questa traduzione non ha affatto la pretesa di essere una traslitterazione o una ricreazione o altra cosa dall’originale: è l’originale oggi”.
Una dichiarazione di modestia, insomma.
Peccato che non si sia limitato a tradurre ciò che non aveva alcun bisogno di essere tradotto, ma abbia levato parti essenziali dell’opera, per sua stessa ammissione, giudicate inutili:

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Via i preamboli, le canzoni e le sfiziose oziosità in villa delle sette conteuses e dei tre raccontatori fra una giornata e l’altra; via gli abboccamenti moralistici che gravano si quasi singola novella; via la maggior parte dei titoli di messere e cavaliere – che poi, a ben guardare a cavallo ci vanno ben poco e trattasi di cavalieri tutt’al più del lavoro, cioè di commenda che per tutta la vita hanno fatto lavorare gli altri… Se è vero che tradurre significa trasformare il sé in altro per una migliore comprensione del problema dell’identità propria e altrui, allora ogni Bravo Traduttore, pur di conservare intatta la radice e più gemme possibili, si assume di decidere quali sono i rami morti da tagliare.

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Le “sfiziose oziosità”, “i rami morti”, in realtà non sono altro che la cornice, quella presente anche nelle favole orientali come le Mille e una notte per intenderci, parte essenziale del testo in cui i personaggi, l’allegra brigata di tre uomini e sette donne, fugge dalla peste, per rifugiarsi nel locus amoenus (che tra l’altro ha precisi significati storico-simbolici) e raccontare le novelle. È proprio la cornice, giudicata superflua da Busi, a unire le storie, a segnare la scansione del reale che poi si trasfigura nel mondo semirealistico delle novelle. Il profilo esistenziale dei personaggi della cornice, giudicato da Busi, “stringato”, in realtà ha l’unico scopo di veicolare i vari punti di vista dell’epoca storica in cui sono ambientate le novelle, punti di vista che variano e si rovesciano in un gioco di specchi in cui non conta il profilo del novellante ma la plurisemanticità dei significati che esprime.
Boccaccio ha la caratteristica di non scivolare mai nella volgarità o nel moralismo, anche quando si abbandona al registro comico-umoristico di basso caricaturale. Busi è riuscito a far diventare scurrile il testo, senza riuscire a rendere quella profonda variatio di registro in cui Boccaccio è maestro, capace di passare dal comico al tragico con insuperabile maestria.
Busi lo ha censurato, appiattito, umiliando il testo e piegandolo ad un linguaggio contemporaneo ad uso delle masse, involgarendolo con termini gergali: “assai volte” che in italiano si capisce benissimo, diventa, non si sa bene perché, il volgare “fracco di volte”; “a casa la si menò” diventa “se la portò a casa in pompamagna”; “infra brevissimo spazio” diventa “quattro e quattrotto”; le “carissime donne” diventano “lettrici”; le “novelle” sono “storie”; il “ragionare” diventa “chiacchierare” o “parlare”; la “donnesca onestà” è il “fascino”. “Mo’ vedi tu” diventa “e adesso che mi dice?” in un totale appiattimento del vernacolo; i savi diventano “metereologi della psicologia”. La “città” è “metropoli” e i “denari”, “grandi magazzini che trasudavano ricchezza”; il “bagno delle donne” è una “ceretta club”; le borse assumono il nome del brand, “Vitton e Gucci”; “un grande strido” è “un urlo alla Tarzan”; le “lettere” diventano “fax”.
In alcuni casi annulla completamente il significato delle metafore boccaccesche:

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E quegli che contro alla mia età parlando vanno, mostra mal che conoscano che, perché il porro abbia il capo bianco, che la coda sia verde […]  (Dec.)

E quelli che si preoccupano delle mie vecchie coronarie non sanno forse che nel gallo vecchio il brodo è buono come nel giovane?” (Busi).

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Il porro che come è noto, è metafora della gioventù e della vecchiaia, nella traduzione di Busi, diventa un improbabile gallo, sintomo che Busi non ha colto il significato simbolico del testo.

In altri casi forzatamente Busi inserisce frasi fatte che deturpano la poesia di Boccaccio e il senso ultimo delle sue parole, con aggiunte iterative che dovrebbero avere uno scopo rafforzativo ma assumono un che di ridicolo:

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[…] le Muse son donne, e benché le donne quel che le Muse vagliono non vagliano, pure esse hanno nel primo aspetto simiglianza di quelle, sì che, quando peraltro non mi piacessero, per quello mi dovrebber piacere; senza che le donne già mi fur cagione di comporre mille versi, dove le Muse mai non mi furono di farne alcun cagione  (Dec.)

Le Muse sono delle donne e benché le donne di questo mondo non possano stargli alla pari, fuori sono tali e quali e, se non avessi altre ragioni per amare le donne, questa sarebbe già la scusa buona per tagliare la testa al toro. Insomma mi piacciono, mi piacciono, mi piacciono, punto e basta (Busi).

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Che dire poi dell’abbassamento di stile verso una volgarità gratuita?

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[…] hanno detto che voi mi piacete troppo e che onesta cosa non è che io tanto diletto prenda di piacervi e di consolarvi e, alcuni han detto peggio, di commendarvi, come io fo (Dec.)

C’è stato chi mi ha accusato di amare troppo le donne e ha condannato questo mio volermi divertire un po’ insieme a voi (Busi).

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Ma avevamo davvero bisogno di questo scempio? Di questa pessima e ridicola riscrittura con omissioni e censure?
Io dico di no.
Giù le mani dal Decamerone! Rizzoli con la traduzione di Busi ci può al massimo aggiustare le gambe zoppe dei tavoli tarlati.

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Comment (1)

  1. giancarlo rosati

    Busi è un ignorante, lo è sempre stato e ora che invecchia sicuramente è peggiorato…

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