Caro Giovanni Boccaccio, l’Aldiquà

Caro Giovanni Boccaccio, l'Aldiquà

Caro Giovanni Boccaccio, l’Aldiquà

Caro Giovanni Boccaccio, l'Aldiquà

Boccaccio, Ameto, Commedia delle ninfe fiorentine, Venezia 1586, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers & Mariano Grossi©

 

Caro Giovanni Boccaccio,

 

ti scriviamo dal futuro e nell’Aldiquà, sperando che tu stia bene nell’Aldilà, termine con cui convenzionalmente noi citiamo il mistero irrisolto e irrisolvibile in vita, ossia la sensazione piuttosto terrena di non sapere nulla.
Possiamo garantirti che in tutti i secoli che separano il nostro tempo dalla tua dipartita, il mondo è un po’ cambiato ma non sempre in meglio. Le mappe sono diventate più precise, è stato scoperto nel 1492 un nuovo continente che si chiama America dove gli europei hanno sterminato gli abitanti originari rubando loro la terra; sono state fatte molte guerre atroci con bombe sempre più intelligenti nel massacrare la gente in modo stupido; siamo andati perfino nello spazio e sulla luna con delle navicelle super-accessoriate, siamo iper-tecnologicizzati, non camminiamo quasi più a piedi perché abbiamo macchine a quattro e due e tre ruote su strada e potenti uccelli volanti di metallo a motore che ci trasportano da un punto all’altro del globo terrestre; non c’è più la peste in Europa ma in compenso ci sono malattie nuove, nuovi virus coronati; non ci si cura più con lo sterco di gallina o con le ragnatele sulle ferite aperte, come si usava ai tuoi tempi, la medicina è progredita, ci sono le case farmaceutiche che producono enormi quantità di farmaci e decidono di che male dobbiamo morire e perché; in teoria poi il povero e il ricco avrebbero gli stessi diritti e doveri, ma in pratica il ricco è ricco e il povero è povero, se sei ricco vivi bene, se sei povero non conti nulla e i letterati, esattamente come accadeva quando eri in vita, per avere successo, diventano tutti servi del potere e si inchinano e leccano le scarpe del più forte. Così facendo, anche se non sanno scrivere nulla, diventano famosi. La distinzione in classi esiste ancora, eccome! Solo che tutti fanno finta che sia un retaggio del passato. Insomma è un mondo complicato, il nostro…
Eppure, caro Giovanni, nonostante tutti questi cambiamenti, avrai capito che l’umanità è rimasta in fondo sempre la stessa, siamo sempre iper-ignoranti, bigotti con l’illusione della modernità, baciapile con la follia del dogma che tu hai sempre detestato, nemici dell’amore naturale a favore di quello artificiale. Ci sono sempre le folle sciocche e gli imbonitori alla Frate Cipolla, c’è il popolino che ha certezze basate sul sentito dire e ci sono quelli che comandano e lo manipolano; c’è la religione pronta a giurare ancora dopo secoli contro la tristezza di Pietro di Vinciolo e la chiesa di Roma ancora corruttissima che vende le reliquie ai poveri fessi.
Ma lo sai che le novelle del tuo Decameron, sono infatti evergreen? Che fior di accademici ne parlano in continuazione? E vedessi cosa dicono, citandosi tra loro come bestioline impazzite d’ego e di settaria affiliazione a una corrente politica; si citano dunque, dicendo sempre le stesse cose, come se non parlassero di te, ma di loro stessi, come se non fossi tu il genio e il letterato, ma loro che cercano di interpretare il tuo pensiero. E ti dicono che odi le donne e che le ami e poi fanno a capelli per decidere chi dei due ha ragione, mentre tu sotto sotto te la ridi di tutte queste speculazioni che pretendono pure di sapere a che ora andavi al bagno per espletare i tuoi bisogni, attribuendo a te fisime e paturnie dei tuoi personaggi. E molti usano il termine boccaccesco come sinonimo di spinta licenziosità, senza averti perlopiù mai letto. Ormai tutti scrivono ma nessuno legge più. Sono tutti artisti, scrittori, poeti, geni. Il nuovo stile, che non è lo stil novo che tu hai superato, ma ancora più vecchio, è fingere di essere ciò che non si è. E credono i suddetti accademici di capire che un artista della tua generazione e del tuo calibro non possa prescindere dai classici e debba costantemente averli come punto di riferimento. Sicché una novella solare e allegra come quella di Caterina e Ricciardo, con le chiarissime metafore sessuali dell’usignolo, secondo loro non può non aver come parametro di riferimento il lugubre, tragicissimo e cruentissimo passo ovidiano della metamorfosi di Tereo, Procne e Filomela in upupa, rondine e usignolo. E quell’altra talmente ribaltante i concetti di etereità muliebre cari agli stilnovisti, sì proprio quella di Cimone ed Efigenia, laddove il rustico innamorato trova la forza di riscattarsi ed elevarsi omnicomprensivamente e divenire maschio appetibile proprio nella visione della carnalità discinta della donna amata dormiente, secondo loro avrebbe origine dal rapporto niente affatto identico tra Eunica e il bovaro dell’Idillio 20 di Teocrito, senza accorgersi di quanto antipodiche tra loro siano le reazioni delle due fanciulle, passiva ed accomodante quella della tua Efigenia, aggressiva e repellente quella dell’Eunica teocritea. Per gli accademici l’originalità tutta tua non esisterebbe, quando poi sono loro a non scrivere un rigo che sia originale. Copiano tutto dai testi antichi, fingendo che sia farina del loro sacco. Ma il pane è raffermo solo che le masse non lo sanno e credono in loro come hanno creduto in Ser Ciappelletto. Così nascevano e nascono i santi.

Dovresti, caro Giovanni, scendere un attimo tu dall’Aldilà e dire ai profeti dell’Aldiquà che non ci hanno capito granché!!!

Ti aspettiamo…

Un caro e affettuoso saluto

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