Tempo, Eternità, Spazio, Destrutturalismo

Tempo, Eternità, Spazio, Destrutturalismo

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Tempo, Eternità, Spazio, Destrutturalismo

La trappola, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers & Angelo Giubileo©

Tempo, Eternità, Spazio, Destrutturalismo

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Se dobbiamo prestare fede al libro del Qoelet o Ecclesiaste, diremmo immediatamente che c’è un tempo per ogni cosa. E così, diremmo anche che l’attuale sia in generale il tempo della fisica e in particolare della fisica del tempo. Perché è sempre dal concetto di tempo che occorre iniziare. E questo lo sapevano benissimo anche gli antichi greci, a partire da Esiodo che nella Teogonia scrive al verso 116 che per primo fu Caos. Laddove il termine greco, tradotto comunemente con Caos, è piuttosto: Xάος, vocabolo oggi abusato e maltrattato come indice di disordine, non-controllo, libertà non vincolata alla struttura, a ciò che il potere definisce tale e che deve essere rispettata da tutti gli uomini di comune sentire e di scarsa intelligenza i quali pensano che l’ordine sia l’origine e il principio, la base inalienabile e dogmatica di tutte le cose, mentre invece non è che una pura illusione. Il Destrutturalismo lo sa. Il mondo non nasce dall’ordine, dalla volontà, di impossibile realizzazione pratica, di controllare tutto, bensì dal suo contrario, ossia dal Caos, che rappresenta per l’artista la libertà espressiva da cui sgorga l’atto creativo. Ne risulta dunque che dal Caos nasce l’arte, ossia dalla rinuncia dell’illusione del controllo su tutto che, invece, è di stampo prettamente maniacale e nevrotico. L’artista ben sa che la smania di gestire e dominare tutto, è una malattia, una forma di patologia che avvolge gli spiriti deboli bisognosi di una struttura ben strutturata per vivere. Sia che tale struttura venga rappresentata dalle leggi di uno Stato, dal dogma di una religione o da convinzioni morali instillate fin dalla culla, è il seme di una patologia che impedisce all’uomo di destrutturare il reale, spingendolo al gioco già fatto, alla confezione già creata da altri, all’assioma che recita, io faccio questo perché è tradizione e lo fanno tutti, eliminando il perché e il percome, ma soprattutto la spinta motivazionale personale ad agire, in modo che l’individuo sia agito ma mai agente. Scavare a fondo non è necessario alla struttura che, anzi, consiglia ai suoi fedelissimi di non sapere troppo, di bandire le eccessive curiosità, di adattarsi supinamente e senza riflessione al mondo pre-catalogato e impostato in categorie di pensiero definite figlie del proprio tempo.
E a proposito di tempo… Molti sono i fisici-scrittori che (anche) attualmente si occupano di fisica del tempo.
Ma di quale tempo si tratta? Guido Tonelli distingue benissimo tra aion, kronos e kairos (termini translitterati nella lingua italiana di oggi), ma poi si dimentica di Αἰών, declinato al maschile già nell’ambito della tradizione greco-classica più antica, ma non antichissima. Scrive Tonelli: “Aión il tempo mistico o metafisico, che si può tradurre con eternità o, semplicemente, vita; è il tempo senza tempo, l’istante perfetto congelato per sempre, lo spirito vitale personificato nel fanciullo che gioca a dadi di Eraclito”.
Avrete notato, al primo sguardo attento, che la questione della struttura in sé non riguarda soltanto il formato o meglio la rappresentazione delle lettere, ma anche il formato degli accenti, e molto molto “altro” ancora.
E dunque: aion, nel dizionario greco ascritto in elenco con la lettera minuscola, rappresenta l’eterno, la vita, lo spirito. L’istante perfetto congelato per sempre. Ma queste non sono parole di Tonelli, questa è piuttosto l’accusa che Platone rivolge a Parmenide, per l’appunto, di avere congelato la realtà.
A torto o ragione? Ma, ancor prima, qual è il significato che Platone attribuisce a questa sua espressione? Vi anticipiamo che, per parte nostra, riteniamo che in qualche modo avessero entrambi ragione e che, come dice Plutarco, sia stato l’uso diffuso del linguaggio a generare viceversa “confusione” (adversus Colotem). Né più né meno di quanto accade in tutte le torri di Babele dei maghi, astronomi, sacerdoti, politici e letterati ante e post-litteram, antichi e moderni.
Xάος e Αἰών, dunque. La massa confusa di elementi è la base da cui l’artista parte per creare un ordine non ordine in cui non-catalogare il reale, ossia farlo sfuggire alle catalogazioni ordinarie, e sfociare in forme espressive originali ottenute plasmando la materia a disposizione in un tempo che non è quello ordinario degli orologi ben regolati a cui tutti siamo abituati, ma un tempo straordinario in grado di fermarsi al solo scopo della significazione.
Αἰών è Il Tempo, che immobile resta per sempre, quel tempo arcaico di cui Platone dice è immagine mobile dell’eternità. La scelta del Caos libero a sfavore del parossismo dell’ordine regolato da un Super-ego, è la scelta dell’arte pura ma anche è tragica a suo modo perché crea una rottura dell’ordine costituito, disseziona il reale e ne mette in luce le ipocrisie, il che non sempre è gradito alla retorichetta populista del buono a tutti i costi. La Destrutturazione del reale tende infatti a mettere in luce anche gli aspetti negativi del mondo. Non è un caso che la radice del termine tragedia è il sumerico <trag> e cioè “il distruttore”. Nella cultura greca, l’aedo è il cantore e quindi, originariamente, la tragedia – massima espressione dell’arte greca – è <il canto del distruttore>. E cioè Aion, il Tempo, corrispondente alla definizione di Platone: “immagine mobile dell’eternità”. Aion è l’inizio, lo stesso inizio di cui Heidegger dice “è l’inizio che è”. Altro da Kronos. Sarà infatti Aion a diventare Kronos, ovvero il tempo ciclico o lineare che il nuovo mito dice sia padre di Aion (Euripide), il figlio. Il figlio di Kronos stesso, che uccide tutti i suoi figli, fatto salvo Zeus per mezzo della madre Rea. Così come Mosè (salvato dalle acque), e tanti altri ancor prima di loro.
Zeus sarà accudito e allevato dalla capra Amaltea. Mentre Atene assiste ora al sacrificio di Socrate. E così che: <il canto del distruttore> diventerà <il canto del capro>. Il termine tragedia, dal latino, significa per l’appunto “il canto del capro”. Ma la tragedia – al di là della funzione catartica assegnatale dai funzionari storici dell’ordine del regime – e così tutta l’arte, in sé e per sé, riemerge sempre come l’araba fenice. Libera da ogni funzione, al di là del bene e del male, frutto della creazione e non della tecnica, immagine mobile dell’eternità.

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Rivista Il Destrutturalismo

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

 

 

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