Fotografia, fotografo, artista, realtà

Fotografia, fotografo, artista, realtà

Fotografia, fotografo, artista, realtà

Fotografia, fotografo, artista, realtà

Ciò che reputo una foto qualunque, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindfowers©

Fotografia e manipolazione, artista o fotografo?

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Noi tutti guardiamo e fotografiamo soltanto ciò che ci interessa, in rapporto quindi al significato culturale, esistenziale, che si attribuisce agli elementi della realtà; molti di noi, a grandi gruppi, guardiamo allo stesso modo le medesime cose, e così si formano gli stereotipi, che però offrono, nonostante tutto il vantaggio di creare delle categorie, degli schemi semantici, dei quali la fotografia è un tramite con il suo linguaggio. La storia della fotografia, d’altronde, è caratterizzata anche dai suoi soggetti, alcuni particolarmente ricorrenti nel tempo, scelti e adottati preferenzialmente per motivi tecnici, ma anche per una ipotesi di fotogenia (Italo Zannier, Manuale del fotografo).

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La fotografia non è la realtà, ma mostra uno spicchio del reale filtrato dall’occhio di chi guarda e dalle intenzioni che il fotografo ha, dall’effetto che intende creare. Attraverso una foto è possibile manipolare creativamente il reale, mandando un messaggio simbolico sia positivo che negativo.
Civiltà dell’immagine, dunque. Ma ha un senso definire “civiltà” il trionfo di una non-verità? In parte sì, ma soltanto se questa non-verità può costituire metodo creativo per esprimere un significato che vada al di là dell’immagine stessa, altrimenti diventa cattiva informazione se non inciviltà e ignoranza. L’arte non commerciale o comunque la significazione, dovrebbe oggi avere un ruolo fondamentale nel tracciare il confine tra realtà e manipolazione. Il dilettante non simboleggia e non significa, scatta, non va oltre quello che vede e che mostra nella sua foto, semplicemente fotografa, ma quel che è peggio, sempre più spesso con l’avvento dei social, ha la pretesa di illustrarci il mondo attraverso la sua foto, quindi la sua scelta visiva e il suo particolare punto di vista, diventano, ma soltanto nella sua testa, messaggio universale, specie se immediatamente comprensibile. Ecco che si arriva allora all’idea della spiegazione dell’ovvio, ecco didascalie o post che spiegano senza spiegare se non una soggettività incapace di universalizzarsi. Circolano, per esempio, nel periodo estivo foto a profusione delle spiagge sarde con sopra una frase attribuita a De André: “La vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattro mila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso”.
Così, estrapolata da un contesto che probabilmente significava altro, la frase, definita addirittura aforisma, quando di aforismatico non ha nulla, significa zero, però, siccome è pronunciata da un’icona, ecco che rimbalza nella rete ormai massificata e pappagallesca. Foto e frase danno un’immagine della Sardegna che non è quella reale, quindi chi non conosce l’Isola e guarda, immagina un Paradiso terrestre dove non esistono problemi, si sta tutto il giorno in spiaggia a prendere il sole e bagnarsi nell’acqua cristallina. Non è proprio così che funzionano le cose nell’Isola svenduta dall’Italia agli americani, dove c’è un tasso piuttosto alto di siti inquinati, dove i tumori sono in aumento anche per via dell’inquinamento specie nella zona Sulcis-Iglesiente Guspinese e area di Porto Torres.
Il Paradiso in terra non esiste finché ci sarà l’uomo.

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Forse il peggior luogo comune è la convinzione che la fotocamera “non mente”. Non è vero, o meglio è vero il contrario! Quasi tutte le fotografie sono delle “bugie”, nel senso che non corrispondono mai alla realtà: sono riproduzioni bidimensionali di oggetti tridimensionali; sono raffigurazioni in bianco e nero di una realtà a colori; sono immagini statiche di oggetti in movimento.
Se un fotografo vuole superare con successo la frattura esistente tra la visione naturale e quella fotografica, deve imparare a vedere così come vede la sua fotocamera. Deve pensare che la vista umana viene completata da altre percezioni sensoriali. Quando una persona si trova al mare vede l’acqua , la sabbia e il cielo, ode il vento e le onde; al suo olfatto giunge l’odore delle alghe e il suo gusto è colpito dal sale dell’acqua. Ma quando scatta una fotografia e tenta di riprodurre quel complesso di impressioni, rimarrà probabilmente deluso perché mancherà la partecipazione diretta a quelle sensazioni. Per vedere come vede la fotocamera un fotografo deve mettere a tacere tutti i sensi, ad eccezione della vista. Per la fotocamera un uomo è un’immagine formata da parti chiare e parti scure, ciascuna con una sua propria struttura. … Non vi è quindi alcun significato, alcun valore o senso più profondo a prescindere dai valori grafici della forma e della struttura, dei colori, del chiaro e dello scuro; non vi è profondità, né prospettiva, solo una proiezione monoculare della realtà sulla superficie della pellicola e della carta sensibile; solo un accostamento di forme bidimensionali; non vi è movimento né vita, ma solo nitidezza, sfocature, effetti di mosso; non luce radiante, solo il bianco della carta. (Feininger, La nuova tecnica della fotografia).

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Le tecniche fotografiche spopolano sui social che però nel 90 per cento dei casi vengono utilizzati secondo la nuova tendenza del politicamente corretto, zero problemi, zero stress, veicolando immagini idilliache di presunti paradisi attira-like che costruiscono una realtà virtuale aliena da qualunque ostacolo. In un mondo disperato e afflitto, c’è una domanda crescente di Paradiso alla portata di tutti in un click e degli “operatori”, chiamiamoli così, che, per attirare simpatie a buon mercato, facili facili ormai in un tempo disabituato a pensare, offrono il servizio foto-idillio con tanto di commento del vip, estrapolato da un contesto in cui probabilmente si dice anche altro.
È il trionfo assoluto delle mezze verità, del virtuale innocuo. L’innocuità oggi ha un successo straordinario, più si è innocui più si ha successo perché non si dà fastidio a nessuno e si veicolano immagini gradevoli da servire al popolino che vuole evadere, finendo però anche con l’evadere da se stesso e dalla propria coscienza, demandando all’occhio di un fotografo o di una verità comunque veicolata da “altri”, l’interpretazione della realtà.
Il privato che appone sopra una sua foto la frase estrapolata non sa nemmeno da dove, suggerendo che quella foto riproduce un Paradiso in terra, sta semplicemente scimmiottando la tecnica usata dai media per manipolare l’informazione. La gente nei social non fa altro che imitare ciò che le viene suggerito dall’alto, ossia l’esibizione costante di realtà parziali con dei commenti assolutamente soggettivi e limitati che indirizzano verso una visione riduttiva e manipolatoria del reale in perfetto accordo con una pseudo-cultura che suggerisce di rimuovere tutto ciò che infastidisce il sogno dell’irrealtà fittizia.
Se un artista usa l’irrealtà per dire la verità, per denunciare e significare, cercando di universalizzare il suo messaggio, i manipolatori, consapevoli o inconsapevoli imitatori che siano, fanno esattamente il contrario, ossia usano una parte di realtà che è irreale perché parziale e soggettiva, spacciandola per verità assoluta e totale, usano l’impatto emotivo di un’immagine per creare false convinzioni e, a quanto pare, ci riescono benissimo.
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