Lettera aperta a Giacomo Mameli

Lettera aperta a Giacomo Mameli

Lettera aperta a Giacomo Mameli

Lettera aperta a Giacomo Mameli

Il lampadario della casa editrice, mixed media on canvas by Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Lettera aperta a Giacomo Mameli

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Gentile Giacomo Mameli,

 

lei non mi conosce.
Mi presento dunque senza presentarmi.
Sono una dei 25 partecipanti all’iniziativa #caraGrazia promossa da Luciano Piras nel suo blog addurudduru, idea nata per celebrare i 150 anni dalla nascita di Grazia Deledda. Ho partecipato a quest’iniziativa perché era aperta a tutti e perché mi è sembrata dall’inizio un’occasione per poter comunicare liberamente il proprio pensiero.
Ho letto dunque il suo articolo sulla Nuova Sardegna, dedicato alla suddetta iniziativa e pubblicato oggi anche nei circuiti on line (è lì che l’ho letto) e ho abbozzato un amaro sorriso di vittoria.
Prima di leggerla infatti ho scommesso con un mio amico che se mai avessero fatto un articolo ufficiale sull’iniziativa dedicata a Grazia, le logiche sarebbero state queste: su tutti i partecipanti nominare soltanto gli amici e qualche eminenza accademica, pubblicizzando il loro lavoro e tacendo completamente sugli altri partecipanti, quelli destinati a rimanere nell’oscurità.
Ebbene io le scrivo dal buio dicendole che forse dalle profondità infere si riescono a vedere cose che la troppa paradisiaca luce, abbagliante per molti, impedisce di scorgere.
Il suo articolo non mi è piaciuto proprio perché, purtroppo, come previsto, ho vinto la scommessa. Citare due nomi tra tutti i 25 partecipanti che hanno messo dell’impegno a scrivere le lettere e hanno aderito con entusiasmo all’iniziativa, non è stata una scelta né democratica né corretta.
Capisco che chi dirige una nota casa editrice sarda forse rappresenti per lei un punto di forza rispetto a chi non ha alcun potere finanziario ma soltanto il povero estro della sua penna, tuttavia ritengo che il buon giornalismo si nutra di imparzialità, altrimenti si dà spazio soltanto agli amici degli amici, a quelle logiche dell’italietta un poco becera in cui si citano alcuni e altri no, quell’italietta un po’ mafiosa in cui si inneggia all’oligarchia culturale a cui tutti sono ormai assuefatti e per cui siamo anche famosi e sbeffeggiati nel mondo.
E non è stata nemmeno una bella mossa quella di inserire una lisciata finale alla solita ricercatrice di turno, citandone forzatamente e partigianamente il libro che in quel contesto appare come una deiezione di piccione su una camicia di indubbia pulizia.
Non è tanto il suo articolo in sé a darmi fastidio o i pecoroni che mettono il like lobotomia come se niente fosse, che tanto, si sa, gli italiani più li si umilia più si mettono a 360 gradi pecora, quanto proprio il fatto che il suo articolo va ben al di là dell’iniziativa di Piras, va ben al di là dei sommersi e dei salvati, degli affossati e dei lodati.
Ha presente un termometro?
Ecco il suo pezzo è come un termometro che misura la temperatura febbrile di un Paese che non ha nemmeno più etica ma è eternamente malato e lo è così tanto che non se ne accorge nemmeno.
Le sue parole laudative ed esclusiviste, dimostrano che nel 2021 abbiamo ancora una mentalità ottocentesca ereditata da un passato non sempre edificante; sono parole che dimostrano che siamo completamente fermi.
Non ci può essere alcun cambiamento se si riesce a rovinare in poche righe anche un’iniziativa che in sé aveva del buono. L’idea di Piras non era male, poteva essere un’occasione per riflettere e coinvolgere, certo se poi il risultato finale è sempre e solo quello di pubblicizzare gli amici, arriviamo alla ruota del criceto che gira gira interminatamente ma di fatto non arriva mai da nessuna parte.
Non sono nemmeno delusa perché me lo aspettavo. La sua prevedibilità fa parte di un gioco che come le ho detto, dura da secoli. Niente di nuovo, dunque.
Sicuramente non mi risponderà, perché avrà tanti altri meravigliosi articoli da scrivere, ma a me non importa un fico secco di ricevere una sua risposta, perché la cultura è di tutti quelli che vogliono apprezzarla e non di pochi eletti.
Il suo articolo è come un’alitata di drago su un bel fiore che si è già seccato come la speranza di quanti hanno capito molto bene che l’Italia è, oggi come ieri, un Paese per pochi.
Ah, e per informarla, anche la mia lettera è giunta da Oltre Manica, nonostante non sia stata segnalata da nessuna scrittrice “poco più che ventenne ma matura”, (che pubblica con Mondadori, un tempo “figlia d’anima” di grosse e grasse “qualcuno”). Ma lei non se n’è accorto perché probabilmente le lettere non le ha nemmeno lette.
È proprio vero, Nemo propheta in patria est.

Un caro saluto dagli inferi

Mary Blindflowers

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