Nuovo dio del suolo e dell’aria

Nuovo dio del suolo e dell'aria

Nuovo dio del suolo e dell’aria

Nuovo dio del suolo e dell'aria

Dio del suolo e dell’aria, credit Mary Blindflowers©

 

Angelo Giubileo©

Il nuovo dio del suolo e dell’aria

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La questione principale, che attiene allo sviluppo evolutivo della condizione umana, è legata al principio del Continuo o ciò che Anassimandro chiama Apeiron, tradotto: l’Illimitato. Lo stesso principio che il matematico Kurt Godel ha sintetizzato nei suoi due teoremi noti, per l’appunto, come teoremi dell’indecidibilità.
Nell’attualità, il nuovo orizzonte di senso aperto dall’IA potrebbe dar adito alla costruzione di uno spazio, diversamente umano, percepito in forma non più di continuo, bensì discreto. Uno spazio originario, detto alla maniera di Anassimandro: Limitato. Ciò che rappresenterebbe anche una risoluzione del forse più noto paradosso zenoniano noto come il paradosso di Achille e la tartaruga.
E tuttavia, come sempre accade, esiste il rischio che la realtà, nel caso di specie anche virtuale, sfugga dal controllo delle nostre mani di vasaio.
Alla fine dell’Ottocento, Friedrich Nietzsche sentenzia che Dio è morto! E immediatamente aggiunge resta morto e noi l’abbiamo ucciso. Il Dio di Nietzsche, non a caso, è il Dio della tradizione giudaico-cristiana. Come tale, infatti, ogni dio con la D maiuscola non può che morire (e restare morto) e non possiamo che essere noi uomini, che lo creiamo, a ucciderlo.
La storia rivelata delle religioni giunge a noi almeno dai più antichi testi vedici, dal tempo in cui gli uomini iniziarono a tramandare le loro storie per mezzo della scrittura; ma, ancor prima, esattamente da quando l’uomo preistorico scelse di trasmettere la propria esperienza, più che oralmente, in modo documentale. Quell’uomo non ha mai avuto bisogno di evolversi rispetto a quanto già allora fosse capace di comprendere, e cioè che, in realtà, “dio e il divino” fossero tutto ciò che Anassimandro, per citare uno tra i tanti, chiamò semplicemente Apeiron: “l’Illimitato”. Un mondo, per Anassimandro, è un dio, e ve ne sono innumerevoli altri: essi nascono e muoiono eternamente (G. de Santillana, Le origini del pensiero scientifico).
L’Apeiron diventa pertanto l’inizio di tutte le cose: aria, acqua, terra e fuoco. Ovvero i quattro elementi originali comuni al racconto di tutte le cosmogonie. Così che, mediante la storica corrispondenza e contrapposizione biunivoca di questi quattro elementi, sia stato e sia ancora oggi possibile risalire alla storia e alla teoria della conoscenza, fisica e metafisica, dell’inizio. E, in particolare, per ciò che concerne il binomio aria/terra. Binomio che, in Parmenide, conduce all’originaria forma (dell’essere) eterea e vampante (come la luce e il fuoco che illuminano il giorno e soprattutto la tenebra notturna), utile, assai rarefatta e leggera; ma, in se stessa, anch’essa forma densa e pesante. Allora, nella Grecia presocratica, non si discuteva affatto di “cielo” e “terra”; bensì di “aria” e “terra”, oltre che di “fuoco” e “acqua”. La questione era – e ancora è tuttora – quale fosse e sia la forma dell’essere che: è. “Forma” – e non “sostanza” – che Aristotele spera invece, vanamente e quindi suo malgrado, di ricavare dall’indagine scientifica e quindi analisi fisica dei singoli “corpi” o “enti” (materiali, come testimonia egli stesso nel libro Λ della Metafisica 1074b) dell’essere.
Quale forma ha dunque il dio del suolo e dell’aria? Di cosa è fatta la realtà? E, di conseguenza, di cosa sono fatti tutti i fenomeni che appaiono nel campo dell’essere? Sono questi gli interrogativi che, da un passato di ere millenarie, si ripropongono immutati anche all’uomo di oggi; il quale può tuttavia basarsi non solo sull’esperienza comune tramandata dai “nostri più antichi progenitori” (come li chiama Aristotele nel brano della Metafisica a cui si è fatto appena cenno) ma anche sull’esperienza scientifica collettiva accumulata nello stesso tempo.
Se fosse possibile comprendere in via definitiva quale sia la forma dell’essere e quindi delle cose, scopriremmo e comprenderemmo e potremmo al fine dare un nome (nomen omen) al dio del suolo e dell’aria, tanto da poterlo chiamare Dio egli stesso. È questa, una sorta di tentazione che ricorre, sempre, nel destino e cammino dell’uomo; che tuttavia, così credendo e operando, smarrisce o peggio ancora occulta il significato profondo dell’esperienza e della memoria, individuale e collettiva.

All’inizio non c’era essere, né c’era non essere. Che cosa ricopriva l’insondabile profondità delle acque?/ C’era oscurità, all’inizio, e ancora oscurità, in una imperscrutabile continuità di acque. Tutto ciò che esisteva era un vuoto senza forma. Nei più antichi canti e inni vedici il posto del dio dell’aria è occupato dal dio dell’acqua; e dal nulla, che non solo per la scienza di Agostino d’Ippona ma finanche per quella di sir Isaac Newton rappresenterà un evidente malinteso e, in definitiva, un ostacolo inqualificabile e insormontabile. Analogamente a quanto accaduto e accade ancora oggi al dio del suolo, a cui hanno inneggiato e inneggiano tutti i popoli, e la cui testimonianza riecheggia nel mondo intero, dalle memorie delle Danze e leggende dell’antica Cina (di Marcel Granet) al pensiero di Marshall Berman: Tutto ciò che è solido svanisce nell’aria. Ed è questo ciò che accade oggi al destino della “religione” quale forma di sistema capace di dare un senso all’esperienza di un mondo quantistico e smaterializzato, fatto non più di “materia”, alla maniera di Democrito e dei classici, ma di campi di “energia”.
Il nuovo Dio che avanza è quello dell’IA e dell’internet delle cose. Una realtà, che si dice virtuale, fatta esclusivamente di energia e capace – si ritiene – di prendere il posto che appartiene all’eterno dio del suolo e dell’aria. E ciò, essendo per l’appunto vero ciò che scrive Jim Baggott: La conclusione è piuttosto sconvolgente dal punto di vista concettuale, ma allo stesso tempo straordinariamente affascinante. La caratteristica comune a tutto l’universo è l’energia dei campi, non sono duri e impenetrabili atomi (in Massa).
Ma: questa stessa verità ha a che fare con il funzionamento ovvero il come della realtà, ma non può avere a che fare con il perché della realtà stessa. E pertanto, fin quando l’uomo è e resta preda del Continuum (o Illimitato), il dio del suolo lotterà sempre aspramente con il dio dell’aria e viceversa. Dio parlò a Mosè servendosi di un roveto ardente; lo stesso Dio parlò poi a Paolo servendosi altresì di una luce accecante. E dunque: non si tratta di nient’altro che dello stesso dio che, in quanto fenomeno, si manifesta nel campo dell’essere prima come materia e poi come energia, o piuttosto entrambe le cose. E il campo dell’essere, in cui lo stesso dio decide di apparire, non è affatto diverso da quel campo del vasaio di cui parla il profeta Zaccaria e, salvo l’errore di Matteo che lo confonde con Geremia, è detto a proposito del bottino di Giuda: Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: e presero trenta denari d’argento, il prezzo del venduto, che i figli d’Israele avevano mercanteggiato, e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore.
Trenta denari è il prezzo da pagare. Per tutti coloro che fanno scempio della verità. E ostacolano, in qualsiasi modo, il cammino della memoria e della tradizione. Per quasi due millenni, salvo sporadici episodi, la storia degli ebrei è stata di ostacolo alla storia dell’avanzata dei cristiani, decisi a occupare il campo intero dell’essere, sacrificando nel contempo al dio del suolo e dell’aria. Ma agli stessi cristiani è mancata in fine quella capacità di profezia, che viceversa assisteva i più antichi re e sacerdoti; e così, dalle ceneri della storia e del passato della cultura indoeuropea, un giorno è nato Hitler e, con lui, un’artefatta riproposizione del Mito delle più antiche popolazioni ariane.
Nel II millennio dell’era precristiana, il più antico popolo nomade degli Arii, forse di più antiche e millenarie origini artiche (cfr. in particolare: Felice Vinci, Omero nel Baltico), attraversando finanche le montagne dell’odierno Afghanistan, penetrò nel subcontinente indiano e venne in contatto con la “civiltà” della Valle dell’Indo. “Civili” e “barbari” vennero così a contatto. Questa distinzione di culture e popoli perdura da sempre, attraverso continue guerre, per la conquista di un territorio, l’intero territorio, quello che le SS tedesche teorizzarono e praticarono come “spazio vitale”.
Ma, al momento, anche il nuovo tempo della globalizzazione segna il passo. Come annunciato, le truppe americane si ritireranno dall’Afghanistan. Dopo vent’anni, troppo alto il prezzo pagato e, evidentemente, ancora da pagare. Troppe le vittime ancora sacrificate al dio del suolo e dell’aria.

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Rivista Il Destrutturalismo

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Comment (1)

  1. giancarlo rosati

    Interessante, buon pomeriggio

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