Invidia, acidità, letteratura, morale

Invidia, acidità, letteratura, morale

Invidia, acidità, letteratura, morale

Invidia, acidità, letteratura, morale

Riflessioni, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Invidia, acidità, letteratura, morale.

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Nessuno è degno di essere invidiato. Lo dimostra la storia, lo affermano implicitamente i fatti della vita quotidiana.
Il punto di vista divergente ha molta difficoltà a far capire questo concetto basilare per menti sgombre da superfetazioni d’ego o dipendenze strutturali da un sistema che pretende l’annullamento della coscienza in una uguaglianza puramente formale, quel tipo di uguaglianza robotica che annulla ogni differenza sostanziale tra individui, ogni minima capacità critica. Questa parola “critica” è percepita come diabolica, propria di chi prova invidia. Non ti piace quello scrittore famoso perché sei invidioso, critichi alcuni meccanismi editoriali perché non ne fai parte, quindi sei invidioso. Ogni tentativo di pensiero divergente si risolve nella semplificante semplificazione dell’invidia, parolina apotropaica che i mediocri portano sempre in tasca e sfoderano come un pugnale al momento opportuno contro i demoni che non la pensano come loro in tutto e per tutto; parola magica utile soprattutto se non si hanno argomenti validi da opporre al ragionamento di un interlocutore che disturba le certezze, le fa oscillare nel dubbio, altro spauracchio da esorcizzare.
Così chi ha un pensiero alternativo rispetto a quello dominante spesso finisce per tacere, per paura di essere aggredito dalle pecorelle di un sistema che stabilisce modi, tempi, qualità e pseudo-motivazioni di fortune e carriere. Insomma la pecora pezzata si tinge di bianco per essere uguale alle altre, per un’accettazione che non ci sarebbe se mostrasse il suo splendido colore poco uniforme e scarsamente uniformato.
Prima o poi però ci si stanca di recitare una parte e il bianco finto sbiadisce, cadono le maschere. Quindi tanto vale rimanere se stessi, e mostrare lo splendore inesausto del proprio pensiero trasversale. Forse non è di moda avere un colore reputato differente, molti protesteranno, si scandalizzeranno, ma che importa? Non è meglio conservare l’omeostasi dell’io e ignorare i falsi profeti che vi accusano di malanimo, acidità e invidia?
Ma dopo tutto, questo preambolo, che è angolo di un discorso più ampio, conduce alla domanda: Si possono imporre categorie morali all’arte?
Ho scritto una lettera ideale a Grazia Deledda, che ho postato anche in questo blog, (qui) accettando l’invito di Luciano Piras. Ho voluto esprimere il mio punto di vista liberamente e sono stata tacciata di acidità e invidia da un signore e una signora che non hanno pubblicato nulla in vita loro, ma pensano di essere grandi esperti di letteratura. Le mie parole sulla Deledda trasuderebbero un’acidità inaccettabile specie quando dico che anche Grazia ha scritto in fondo delle ciofeche, accanto al sublime Canne al vento. Non si può dire. Devi tenere per te qualsiasi cosa possa mettere in cattiva luce premi importanti e letterati famosi, altrimenti sei acida e biliosa, mentre la letteratura, non può essere acida, affermazione per me del tutto falsa. Rabelais, Trilussa, Bartolini, Flaubert che definì George Sand una muccona piena di inchiostro, senza la loro naturale santissima e profonda acidità, cosa sarebbero? Un concerto per educande? Che poi cos’è questa acidità di cui il benpensante parla tanto? È dire le cose come stanno, impipandosene letteralmente del politicamente corretto, un modo per mettere in luce aspetti non proprio edificanti della storia che per molti, andrebbero taciuti.
Nascondere diventa la nuova legge per non essere acidi.
Parlare solo degli aspetti positivi di un autore, celando certi meccanismi che lo hanno portato al successo, è la regola. Il nascondimento però è l’aspetto più evidente del nulla, nascondere l’esistenza di ciò che è stato, in nome della morale corrente, attiene a un movimento di distorsione della storia e della letteratura sottoposte senza pietà alla rigidità transeunte di una categoria morale che in realtà non esiste se non nell’occhio di chi guarda.
E qui ripropongo la domanda: Si possono imporre categorie morali all’arte?
La risposta è no.
La letteratura non è affatto tenuta a seguire le categorie morali del borghesuccio (anche borghesuccio pare che non si possa dire) ipocrita, ha tutto il diritto e forse anche il dovere di essere non solo acida ma pure scorretta.
La belle lettere non sono il sacrario che la borghesia vorrebbe farci credere. L’arte è piena di merda, di acidità, di fragorose pisciate dentro le acquasantiere, è scandalosa, irriverente, ed è giusto che sia così. Negare questo significa non conoscerla o conoscerne sono aspetti parziali, quelli che si accordano con il nostro sentire di uomini cosiddetti civili, quel sentire che si armonizza con la censura di parti di libri giudicate scomode, come per esempio le parti scabrose del Diario di Anna Frank o del Decamerone o del Satyricon e via dicendo.
L’arte non ha nemmeno compiti didascalico-morali. La letteratura didascalica infatti è funzionale alle dittature e al potere, piegata ai valori dominanti del super-ego, come quello stucchevole Libro cuore intriso di retorica melliflua e buoni sentimenti, scritto da uno che poi le suonava di santa ragione alla moglie.

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